Dalla complessa e difficile formazione del governo e dopo giorni di caos politico l’istituzione del Presidente della Repubblica, le sue prerogative costituzionali e chi la presiede, ne escono, tutto sommato, bene. Persino con più autorevolezza e forza. Questo, a mio avviso, per come si erano messe le cose, rappresenta l’elemento più’ importante in quanto attiene alla tenuta democratica di una fondamentale Istituzione repubblicana. Inoltre, con il varo del nuovo esecutivo, non si torna a votare – almeno non a luglio o a settembre – il governo non è “tecnico”, ma “politico”, anche se zeppo di tecnici, presieduto da un professore non eletto e, comunque, nessuno si potrà lamentare perché non si è tenuto conto del voto dei cittadini del 4 marzo. L’alleanza giallo verde, detta “del cambiamento”, adesso si vedrà all’opera, si dovrà confrontare con i problemi reali e potremo valutare in che direzione si muove il “cambiamento” e, naturalmente, sottoporlo a critica.
Ho scritto, la scorsa domenica sera, una nota con il titolo “Fermare gli irresponsabili”[1] come reazione alla telefonata del leader del M5S Luigi Di Maio che, interrompendo il programma di Fabio Fazio sulla prima rete della Rai, accusava, senza contradditorio, il Presidente della Repubblica di aver impedito la nascita del governo e preannunciava la messa in stato di accusa del Capo dello Stato. Una sorta di improvvisato e irresponsabile impeachment con l’aggiunta della convocazione a Roma di una manifestazione di protesta il 2 giugno, in coincidenza con le celebrazioni della Repubblica.
Lasciato solo nella improvvida iniziativa dal più navigato capo della Lega, Di Maio è stato costretto a una frettolosa e poco gloriosa retromarcia, mentre il governo, quattro giorni dopo, si è formato, secondo le originali indicazioni di Mattarella, e il “casus belli” del professore Paolo Savona al Tesoro risolto con il suo dirottamento al ministero degli Affari europei.
Da citare, in questo caso come esemplare sotto il profilo istituzionale, il comportamento tenuta dall’economista Carlo Cottarelli, designato dal Presidente per costituire un governo tecnico che avrebbe dovuto accompagnare il Paese al voto.
Per alcuni giorni però l’operato del Presidente della Repubblica è stato diffusamente criticato e l’Istituzione ha rischiato un pericoloso isolamento. Come normalmente avviene in Italia per il commissario della nazionale di calcio, molti si sono improvvisati costituzionalisti e hanno impartito lezioni al posto di Mattarella. Tra le poche voci che non si sono unite al coro delle critiche ho trovato opportuna la posizione dell’Anpi, dei tre sindacati e, in particolare, la preoccupata lettera alle Camere del Lavoro della segretaria generale della Cgil Camusso, dove vengono stigmatizzati gli attacchi portati “al ruolo istituzionale del Presidente della Repubblica che colpiscono i principi fondanti che regolano i rapporti tra poteri dello Stato come definiti nella nostra Carta Costituzionale.”
Nei novanta giorni della crisi qualcosa è, comunque, emerso che può, in prospettiva, tornare utile. Il tema dell’Europa, dell’Unione, della moneta, del ruolo egemonico esercitato dalla Germania sono, finalmente, diventati argomenti di dibattito e di confronto, mentre erano stati colpevolmente trascurati e rimossi durante l’ultima campagna elettorale. Siccome, in ogni caso, la prossima primavera si dovrà tornare al voto per eleggere il parlamento europeo è auspicabile che tutte le forze politiche enuncino con chiarezza e per tempo posizioni e strategie. Sull’Euro, i trattati, le banche, la fiscalità, la concorrenza, i diritti dei lavoratori, la salute, i migranti. Evitando di tenere nascosti, come segreti di Pulcinella, fantomatici “piani b”. Noi che vorremmo più Europa, la vogliamo però differente, non supina ai desiderata e alle logiche della finanza internazionale e ci piacerebbe che il nostro Paese, alleato con altri, si battesse nelle sedi opportune per un deciso cambio della politica economica e sociale dell’Unione in direzione di una lotta alle diseguaglianze e alle povertà. Facendo in modo che i problemi, le attese e gli interessi di lavoratori, pensionati, giovani e disoccupati siano adeguatamente ascoltati e rappresentati.
La formazione del governo penta leghista, allontanando il voto, rende anche possibile alle forze che il 4 marzo sono risultate sonoramente sconfitte e, in particolare, ai partiti del centrosinistra e della sinistra di riflettere auto criticamente sulle ragioni dell’insuccesso, ricostruire una credibile identità e, se ne saranno capaci, progettare una nuova e più credibile politica. Senza doversi affidare a frettolosi e improvvisati “fronti repubblicani” che rischiano di perpetuare le sconfitte.
Di fronte a un governo che nasce con una forte impronta leghista e di destra è urgente ricostruire una sinistra del lavoro e dell’eguaglianza in grado di respingere qualsiasi tipo di minaccia alla democrazia e alla Costituzione. Una sinistra europea che si batte per cambiare e migliorare l’Unione facendone parte: un’Europa sociale, solidale, dei diritti e della piena occupazione.
Alessandria, 2 giugno 2018