1. PREAMBOLO Il più lungo e grave ciclo di crisi della storia del capitalismo dopo quello del 1929 ha messo in ginocchio le classi popolari e larghe fasce di classi medie delle economie mature. Un ciclo generato dalla guerra di classe dall’alto scatenata dalle élite politiche e finanziarie di Stati Uniti ed Europa, combattuta nell’Unione europea attraverso il mercato unico e l’euro. Il processo di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia, unitamente alle politiche di indebitamento pubblico e privato regolate dalle organizzazioni sovranazionali (Fmi, Banca mondiale, Ue), hanno alimentato e moltiplicato a dismisura disuguaglianze e ingiustizie, fattori di un ulteriore aggravamento delle divergenze e di un ulteriore giro di stagnazione. In questo contesto, l’Italia ha subito un radicale processo di deindustrializzazione e impoverimento dovuto anche alla vocazione alla rendita delle famiglie storiche del suo capitalismo.
Per affrontare tale situazione, va preso atto che, contrariamente a quanto le sinistre riformiste o radicali hanno creduto in particolare dopo l’89, è impraticabile per profonde ragioni culturali, linguistiche e storiche la strada della sovranità democratica a livello europeo. Gli “Stati Uniti d’Europa” o la cosiddetta “democratizzazione dell’Unione europea” sono un miraggio conservativo di un ordine liberista fondato sulla svalutazione del lavoro e sullo svuotamento della democrazia costituzionale. L’unica strada per ridare valore sociale e politico al lavoro, è la rivitalizzazione della sovranità popolare e nazionale: significa puntare all’attuazione dei principi della Costituzione del 48 e il loro spirito solidaristico e orientamento socialista è essenziale per ricostruire sia le funzioni economiche e sociali dello Stato democratico, sia una rinnovata forma di economia mista. È questa la strada per rilanciare la nostra vocazione industriale, generare piena occupazione, governare il mercato e restituire ai cittadini, attraverso i partiti, il potere di incidere sull’indirizzo generale del Paese. Ciò che ci serve, dunque, è un autentico patriottismo costituzionale.
2. PER UN PATRIOTTISMO SENZA NAZIONALISMO L’amor patrio che la Costituzione richiede ai cittadini non è un anacronismo storico, un residuo dell’esigenza di riscattare la nazione dal ventennio fascista, era e resta un valore civico fondamentale, un sentimento fondativo della comunità democratica, l’opposto della degenerazione ideologica del nazionalismo. La sinistra ha la responsabilità di avere regalato alle destre il monopolio del linguaggio patriottico. Occorre, invece, rivendicare quella tradizione che, da Machiavelli alla Resistenza, passando per la Rivoluzione Francese, ha identificato l’amor di patria con l’amore per la Repubblica in quanto forma di vita libera, come fratellanza e solidarietà fra cittadini che amano il proprio Paese e le sue istituzioni nella misura in cui garantiscono a tutti di vivere da liberi e uguali, in pace e sicurezza. Questo sentimento è condiviso da tutti i cittadini di una determinata comunità territoriale, a prescindere dalla loro origine etnica e dalle loro identità religiose, ideologiche, di genere, ecc. È un sentimento di protezione data e ricevuta, è dunque non aggressivo e riconosce pari diritti e dignità alle altre patrie. Non è, tuttavia, un sentimento astratto: si incarna in un luogo, in una lingua, in una cultura, in una parola in un popolo e nelle sue istituzioni. La patria è, al tempo stesso, popolo, Stato e nazione: un’unità che è frutto di costruzione politica e non di un ancestrale retaggio di sangue. Questo patriottismo è, appunto, patriottismo costituzionale, indispensabile a generare vincoli di solidarietà, a loro volta condizione necessaria per politiche redistributive e di giustizia sociale.
3. PER UNA DIFESA INTRANSIGENTE DELLA COSTITUZIONE DEL ‘48 Nella misura in cui rispecchia la convergenza storica fra le culture del socialismo e del cristianesimo sociale, la nostra Costituzione mira a promuovere un riequilibrio dei rapporti di forza fra le classi sociali in favore dei più deboli, in primis dei lavoratori; stabilisce il principio secondo cui la dignità delle persone si afferma attraverso il lavoro, richiede politiche di piena occupazione, di accesso generalizzato al lavoro e di sua distribuzione senza discriminazioni di genere, razza, orientamento religioso o sessuale. Quindi, implica, nella fase storica davanti a noi, la riduzione di orario a parità di retribuzione, in base al principio lavorare meno e lavorare tutti e l’istituzione di programmi di “Lavoro di cittadinanza” realizzati direttamente dalle amministrazioni pubbliche. Riconosce, infine, nel conflitto fra capitale e lavoro un insostituibile strumento di emancipazione personale e collettiva. Così come riconosce il conflitto come motore di democrazia politica e economica e, a questo fine, impone ai pubblici poteri di promuovere le condizioni di un confronto equilibrato tra le forze sociali e di operare per impedire la spoliticizzazione del mercato. È per queste ragioni che la nostra Costituzione non piace alla grande finanza internazionale. Ed è per queste ragioni che è stata manipolata da “riforme” neoliberiste attuate dai nostri partiti di destra, centro e sinistra (come l’articolo 81 che vieta le politiche economiche keynesiane o l’articolo 117 che appaia i Trattati europei alla Costituzione medesima). È per queste ragioni che si scontra con i Trattati europei centrati sul principio della concorrenza e della stabilità dei prezzi. Ecco perché va riaffermato che i principi fondamentali della Costituzione italiana prevalgono sui Trattati europei e internazionali e che le limitazioni della sovranità sono ammesse solo in condizioni di parità con gli altri Stati e solo per promuovere quei principi fondamentali. L’Europa coerente con la nostra Costituzione non è l’Unione europea, bensì una confederazione di democrazie nazionali sovrane che affrontino assieme (ma non in antagonismo con il resto del mondo) le sfide della pace, della salvaguardia ambientale e della giustizia sociale.
4. I COMPITI DELLO STATO NAZIONALE L’insostenibilità della globalizzazione, certificata dal ripresentarsi del protezionismo e della competizione inter-imperialistica, è la prova che la presunta fine dello Stato-nazione esiste solo nella propaganda neoliberista e nelle chiacchiere di una sinistra che ha rimpiazzato l’internazionalismo socialista – che è solidarietà fra classi popolari nazionali – con il cosmopolitismo capitalista. In tale contesto, gli interessi popolari per difendersi dalle politiche liberiste chiedono protezione e sicurezza ai rispettivi Stati nazionali, consapevoli che solo essi possono offrire loro la possibilità di recuperare un minimo di influenza sul proprio destino. Lo Stato nazionale torna ad essere imprescindibile per promuovere piena occupazione, limitare e governare il mercato, garantire la funzione sociale della proprietà privata. La sovranità costituzionale è, quindi, condizione per abolire la tirannia del principio della libera concorrenza, subordinandolo all’utilità sociale e alla dignità della persona. A tal fine, la moneta è variabile politica decisiva, da portare al servizio del welfare e della democrazia costituzionale. È fondamentale una radicale riqualificazione dello Stato per superare i noti limiti storici e assumere la forma e la sostanza dello Stato della Costituzione del ’48: per l’istruzione pubblica, la sanità pubblica, i servizi fondamentali, la lotta alla corruzione e agli sprechi e la conquista del controllo democratico del territorio sottraendolo ad una criminalità mafiosa sempre più diffusa in tutto il paese. La rivitalizzazione delle funzioni sociali dello Stato è anche condizione per difendere l’unità nazionale. Dietro la retorica sull’ “Europa delle regioni”, utilizzata anche per motivare la sciagurata riforma costituzionale del 2001, si cela la volontà di indebolire lo Stato nazionale, concentrando il potere nelle istituzioni sovranazionali e delegando a enti come le regioni, prive di reale capacità di programmazione macroeconomica, la pura gestione amministrativa di indirizzi assunti in sede tecnocratica, secondo il principio della governance. In tale contesto, il principio di sussidiarietà verso le autonomie territoriali va riconosciuto in quanto promotore di coesione sociale di tutta la nazione e non, come avviene con l’attribuzione squilibrata di risorse e funzioni alle regioni ricche, di ulteriori disuguaglianze fra Nord e Sud dell’Italia, fino alla rottura sostanziale dell’unità economica e sociale della Repubblica.
5. CONTRO LA MOBILITÀ INCONTROLLATA DI CAPITALE, LAVORO, MERCI E SERVIZI La mobilità internazionale di capitali merci, servizi e persone va regolata e limitata in riferimento alla protezione del lavoro, della giustizia sociale e ambientale. Il mercato unico europeo, fonte di svalutazione del lavoro e di svuotamento della democrazia nazionale, va ridefinito per dare priorità alla coesione sociale sulla concorrenza. Il principio della regolazione più favorevole al lavoratore deve avere il primato sul principio del Paese d’origine o di destinazione.
6. REGOLARE LE MIGRAZIONI PER COMBATTERE LA XENOFOBIA ED EVITARE GUERRE FRA POVERI Tanto la xenofobia, quanto il principio irrealistico di accoglienza illimitata (“no border”) sono risposte impraticabili per affrontare la sfida epocale delle migrazioni. Ignorano, infatti, le cause reali di un fenomeno che richiede soluzioni politiche. Con riferimento all’immigrazione in occidente, se milioni di esseri umani sono costretti a lasciare i loro Paesi è soprattutto perché il neocolonialismo dei Paesi ricchi continua a depredarne le risorse e a scatenare guerre locali per spartirsi materie prime e mercati, mentre le “riforme” imposte da Fmi e Banca Mondiale ne aggravano la miseria. Ribadito che, né il diritto d’asilo nei confronti di chi è stato privato delle libertà democratiche, né il dovere di umana solidarietà nei confronti delle vittime di guerre e catastrofi naturali possono essere messi in discussione, va riconosciuto che la regolazione degli ingressi, in relazione alle effettive capacità di integrazione, è condizione essenziale per offrire un’accoglienza degna (fino allo jus soli), ossia in grado di garantire ai migranti accolti condizioni di vita e di lavoro analoghe a quelle dei cittadini autoctoni e, contestualmente, evitare dumping sociale verso i residenti. Va, insieme, affermato il diritto a non emigrare, in quanto l’emigrazione non è affatto un fenomeno positivo per il Paese d’origine, mentre ciascuno dovrebbe avere il diritto a vivere e lavorare in condizioni dignitose nel proprio Paese: un diritto da difendere con la solidarietà internazionalista fra le classi popolari dei Paesi ricchi e i Paesi poveri, chiamati a lottare assieme per promuovere e rafforzare il diritto allo sviluppo integrale di tutte le nazioni.
7. TECNOLOGIA E MERCATO: I BISOGNI INDIVIDUALI NON SONO SEMPRE DIRITTI La tecnologia (e in certa misura anche la scienza) non è “neutrale”, nel senso che il progresso tecnologico è profondamente integrato ad altri processi e sistemi sociali e ne rispecchia conflitti, esigenze e interessi. Ciò emerge dal modo in cui i recenti avanzamenti tecnologici hanno contribuito a rafforzare il dominio del capitale sul lavoro, intensificando tassi e ritmi di sfruttamento, favorendo le delocalizzazioni e aumentando la disoccupazione. Emerge dal contributo che la tecnologia offre alla colonizzazione dei mondi vitali da parte del mercato (utero in affitto, mercificazione di organi e materiale genetico, monopolio delle sementi geneticamente modificate, ecc.). Emerge, infine, dall’esaurirsi delle speranze di democrazia economica, politica, sociale e di emancipazione individuale che avevano suscitato i primi passi della rivoluzione digitale. La concentrazione monopolistica ha stroncato tali aspettative consentendo alle grandi imprese del settore di acquisire un controllo totale su dati, algoritmi e proprietà intellettuale, generando inedite disuguaglianze e minacciando di alimentare vere e proprie forme di totalitarismo digitale. Ecco perché occorre instaurare forme di controllo democratico sull’uso del sapere tecnologico e scientifico, in base al principio che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile. Ed ecco perché occorre contrastare l’individualismo proprietario che, mettendo in relazione fattibilità tecnica, conversione dell’innovazione in prodotto commerciale e induzione di nuovi bisogni, converte ogni desiderio soggettivo in “diritto”. Al contrario, i diritti e le libertà da
essi schiuse sono beni comuni che vanno sempre compresi insieme al senso profondamente umano del limite, alla dignità della persona e al rispetto della natura.
8. SOCIALISMO ED ECOLOGIA Il crollo del Muro e la rivoluzione liberista sembravano avere cancellato la parola socialismo dal lessico politico. Oggi, tale parola torna prepotentemente alla ribalta a partire da Paesi dove non aveva mai goduto diritto di cittadinanza, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, dove leader come Sanders e Corbyn non temono di farla propria. E riacquista legittimità grazie ai movimenti populisti di sinistra, dalle rivoluzioni bolivariane a Podemos, a France Insoumise, a Aufstehen. Certo, il socialismo del XXI secolo non è il socialismo novecentesco, di cui peraltro non si è tuttora effettuato un bilancio critico scevro di pregiudizi. È un socialismo che nel nostro Paese può e deve ispirarsi ai principi costituzionali sopra richiamati, senza nostalgie per esperienze passate e recenti che non sono riuscite a metterli seriamente in atto. Principi di uguaglianza, equità, solidarietà e giustizia sociali che in passato si sarebbero definiti “riformisti” ma oggi, nel contesto dei disastri generati dal sistema liberista, assumono valenza obiettivamente “rivoluzionaria”. Il socialismo del XXI secolo non può essere disgiunto da una vocazione ecologista. Date le catastrofi ambientali generate da una crescita orientata esclusivamente al profitto privato e dalla rincorsa del socialismo novecentesco ai livelli di produzione del capitalismo, oggi lo slogan “socialismo o barbarie” dovrebbe essere modificato in “socialismo o collasso ecologico del pianeta”. La responsabilità umana nei confronti dell’ambiente come insostituibile patrimonio intergenerazionale, come eredità da preservare e consegnare alle generazioni future, è anche il terreno su cui possono trovare feconda contaminazione l’umanesimo laico della tradizione socialista e l’umanesimo cristiano, come dimostrano le parole di Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sii”.
9. PARTITI E DEMOCRAZIA Affinché tutti i cittadini possano concorrere a determinare la politica nazionale, vanno costruiti i partiti come forme democratiche, intellettuale collettivo, piattaforme di formazione e selezione delle classi dirigenti per le istituzioni della rappresentanza politica. La democrazia è rappresentativa e ancorata alla insostituibile funzione dei corpi intermedi, altrimenti diventa plebiscitarismo, in versione tradizionale o social. La sovranità popolare si esprime attraverso la centralità del Parlamento e la libertà di mandato di ogni parlamentare in rappresentanza della nazione.
10. COSTRUIRE IL SOGGETTO POLITICO Nessuna delle attuali forze politiche italiane è in grado di raccogliere le indicazioni qui sintetizzate. Non le destre e le sinistre riformiste, corresponsabili dello snaturamento in senso liberista della Costituzione e dell’integrazione subalterna dell’Italia nell’Unione europea. Non le sinistre radicali o antagoniste, sorde ai temi della nazione e dello Stato. Non le attuali forze di governo che, pur criticando la politica dell’Unione europea e pur manifestando alcuni (moderati e contraddittori) intenti ridistributivi, appaiono incapaci di operare – per condizionamenti di classe e/o per ambiguità ideologica – una necessaria svolta verso un’economia orientata e governata dal settore pubblico. La discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve quindi essere reso funzionale alla formazione di una forza politica, ispirata ai principi del socialismo, del cristianesimo sociale, dell’ambientalismo, capace di restituire fiducia e speranza alle classi popolari, di rispondere alla loro domanda di protezione e sicurezza sociale e di impegnarsi a costruire con loro un progetto di Paese coerente con il programma della Costituzione Repubblicana.
Patria e Costituzione – Senso Comune – Rinascita!
Roma, febbraio 2019
Vedo che questo Manifesto è stato variamente modificato cercando di evitare che il richiamo alla nostra Carta costituzionale possa significare una esclusione dei problemi politici di ordine internazionale e che come tali, sono affrontabili solo in questa dimensione geo-politica: ricordo , tra gli altri, la questione ambientale, la questione della immigrazione che non viene affrontata ne a destra, ne a sinistra…. , le tuttora esistenti minacce di ordine bellico,
ecc., ecc.
Non vedo come i pur evidenti cambiamenti apportati al Manifesto, consentano di superare tutta queste questioni e come ci si possa alla fine collocarsi a sinistra ……
Avevo proposto proprio per coprire queste inevitabili responsabilità internazionali, una bozza di lettera che impegnasse tutti gli elettori e tutti gli eletti alle prossime europee, di impegnarsi nel sollecitare la nuova UE. verso la creazione e gestione di un Progetto d’intervento economico, sociale e culturale a favore di tutti i paesi dell’Africa Una proposta che ha ricevuto già alcuni consensi di un certo interesse…. Naturalmente anche i nostri soci possono aderire …. basta rispondere all’invito o anche al sottoscritto.
Un cordiale saluto
Sergio Ferrari