di Giorgio Ruffolo
Edizioni EINAUDI, 2008
Una civiltà che pretende di abolire il limite è perduta, perché non riconosce i suoi confini ecologici e sociali né le possibilità del suo sviluppo culturale.
Le profezie sulla fine del capitalismo sono state così tante da avergli portato fortuna, ma niente giustifica l’idea che esso rappresenti un assetto definitivo. La storia scorre, implacabile. I suoi tempi sono contati. Su questo sfondo Ruffolo ci narra nel suo stile sempre godibile l’avvincente percorso storico del capitalismo occidentale. Dalle prove d’orchestra dell’antichità fino al suo pieno dispiegarsi nel Cinquecento e alle successive egemonie nazionali. E soprattutto le incognite di questo nostro nuovo secolo, le sfide, i rischi, le risposte possibili che si muovono sul filo della progressiva mercatizzazione dell’economia, fino alla globalizzazione dello spazio e alla finanziarizzazione del tempo. Uno scenario complicato dall’affanno del controllo politico, che potrebbe riservarci prospettive drammatiche ma anche, tra le sue sorprese, quella di un «capitalismo ben temperato». «Le filosofie che contestano la scienza e la tecnica come idoli della nostra servitù ci portano sulla strada opposta a quella segnata dalla legge dell’organizzazione che regola l’evoluzione dell’essere. Ci portano nelle fumosità del misticismo, mentre la scienza e la tecnica, al servizio della conoscenza, non del mercato, sono le vie aperte al nostro sviluppo creativo. Non è il progresso tecnico la causa del venir meno dei fini, ma è il suo asservimento all’accumulazione capitalistica. Quella sintesi di tecnica e di mercato che ha costituito il segreto del trionfo capitalistico ne rappresenta oggi la prigione. Non è vero che la tecnica prescrive di fare tutto ciò che è fattibile. Essa prescrive di fare tutto ciò che è profittevole. Il problema, allora, non è quello di sottrarsi alla tecnica, ma di sottrarre la tecnica alle leggi del mercato, ponendola al servizio della conoscenza. In questo senso l’equilibrio ecologico, l’arresto della crescita economica dell’avere, sterile e autodistruttiva, è la premessa necessaria di un umanesimo trascendente inteso allo sviluppo esistenziale della specie umana». |