Quello che segue è il racconto di Sergio Ferrari sul suo rapporto con Paolo Sylos Labini e la discussione con lui avuta sull’innovazione tecnologica. L’intervento è stato pubblicato dall’Associazione dedicata a Sylos Labini (www.syloslabini.info) in occasione del centenario della nascita.
“Nel 1974 mi capitò, nel corso della mia attività all’ENEA, di essere incaricato di “mettere assieme” una serie di laboratori di natura scientifica completamente diversa – dalla chimica analitica, alla strumentazione elettronica, dai nuovi materiali al calcolo scientifico, alla robotica, ecc, ecc. Un totale di circa 800 persone, escluse quelle dedicate alla fusione nucleare, che inizialmente erano state inserite in quella operazione, ma che ben presto – e giustamente – vennero staccate e rese autonome. Non sto a spiegare le motivazioni di un tale provvedimento, certamente non da me auspicato. Fatto stà che sin dall’inizio la domanda su che cosa avrei dovuto fare mi si pose con grande evidenza ma anche senza un precedente o un qualche riferimento a cui ispirarmi.
Ed era un problema che non potevo porre ai collaboratori più diretti perché era chiaro che loro per primi si attendevano da me una risposta. Fortunatamente i rapporti umani e professionali interni erano ottimi e, a distanza di anni, devo dire che questi rapporti sono stati la chiave di volta per uscire senza troppe ferite per nessuno da quell’impasse.
Ogni laboratorio aveva naturalmente una sua storia e una sua specializzazione scientifica e come tale non avrebbe avuto difficoltà ad andare avanti. Ma quella nuova situazione organizzativa si era determinata proprio perchè i precedenti rapporti funzionali erano stati considerati come conclusi e superati. Quindi ora il che fare era da inventare essendo aperto a tutto quanto esisteva ma anche a quanto si poteva liberamente immaginare come conseguenza dei nuovi rapporti con altre specializzazioni o con altre sollecitazioni esterne.
Una certa cultura comune tendeva a ricercare una risposta non solo in base alla natura scientifica del possibile problema ma anche in base all’interesse più generale che certe scelte presentavano rispetto ad altre. Per noi la sola valenza scientifica non era sufficiente perchè dietro a qualunque conoscenza scientifica ci sembrava che esistesse comunque, prima o poi, anche una dimensione pratica, economica o sociale che fosse. In sostanza si poneva, più o meno coscientemente e non senza qualche difficoltà soggettiva, la questione della dimensione economico-sociale del nostro fare. Non che fossimo così estranei a quei valori ma certamente sino allora altri e altre situazioni internazionali si erano preoccupate di individuare quelle motivazioni che, discusse o meno, poi sarebbero diventate valide per tutti.
Da qui nacquero una serie di questioni e di decisioni operative tra le quali ricordo gli studi e le ricerche sulle fonti energetiche rinnovabili (incominciando dal fotovoltaico) che, non a caso, divennero di li a pochi anni un Dipartimento indipendente, delle biotecnologie dove i precedenti originati dalle ricerche in laboratori che utilizzavano anche il campo Gamma, avevano già portato ad un nuovo prodotto come il grano creso ed avevano poi invaso tutto il campo dell’agroalimentare, ed altri, sino allo schema di ragionamenti che avrebbero portato a quello che sarebbe diventato l’Osservatorio su L’Italia nella Competizione Tecnologica Internazionale.
Naturalmente queste poche righe sottendono il passare di anni e quando nel 1982 cambiai incarico assumendo la responsabilità della Direzione Studi, prima inesistente, tutto quel balbettio sui temi dello sviluppo economico, sociale, culturale, non era, evidentemente, più sufficiente. Tra le iniziative attuate per correggere quel divario culturale ad un certo punto pensai che degli incontri dedicati esclusivamente a noi della Direzione Studi, da parte di chi se lo poteva permettere, ci avrebbero fatto molto bene. Così mi decisi di chiedere al prof. Roncaglia, che mi era già noto per altra via, se pensava possibile tenere delle lezioni interne, a tutti gli interessati del Direzione Studi. Il tema generale poteva essere, tanto per incominciare, che cosa era, di che cosa si occupava la scienza economica, ma soprattutto quali erano le riflessioni che l’economia aveva sviluppato nel confronto delle questione poste dallo sviluppo scientifico-tecnolgico.
Da qui con le parole di Roncaglia, il passaggio da Smith, a Schumpeter, a Sylos Labini era obbligato e poiché andare a sentire o a disturbare Smith o Schumpeter era impossibile, il tentativo di discutere da neofiti con Sylos doveva solo trovare il momento e l’occasione opportuna. Capitò, sempre grazie a Roncaglia, durante un Convegno all’Accademia dei Lincei. E’ in quella occasione che colsi l’opportunità di domandare a Sylos se poteva scrivere un articolo per il periodico dell’Enea sui temi dell’economia dell’innovazione. Mi guardò, mi scrutò con quei suoi occhi tra l’ironico, il divertito e l’intransigente – che poi avrei imparato a conoscere – e poi mi disse di farmi vivo che mi avrebbe dato qualcosa, premettendo che proprio in quei giorni gli era capitato di scrivere delle annotazioni che avrebbero potuto essere utili per quello scritto. Di lì a qualche giorno andai a trovarlo a casa sua, mi fece entrare nel suo studio e tirò fuori alcuni fogli scritti a mano. Il suo studio era il prototipo dello studio di un ricercatore: carte anche sulle seggiole, la scrivania coperta di plichi, alcuni in equilibrio precario, i ripiani delle librerie stracolmi che foderavano pressoché tutte le pareti. La conversazione si limitò ai convenevoli e l’unica questione che mi riuscì di tirar fuori fu il grande interesse che all’Enea molti avevano per i sui scritti, che quindi certamente avrei pubblicato questo suo intervento ma, aggiunsi, che sarebbe stato interessante, oltre che utile, poter immaginare un seguito. A quel punto mi domandò di che cosa mi occupavo all’Enea. Alla mia risposta che mi occupavo di innovazione tecnologica, si fece più attento e, mi parve, con un qualche interesse per quello che cercavo di spiegargli. Comunque mi rispose che pensava di darmi un intervento espressamente scritto per la rivista dell’Enea.
Non ricordo precisamente la data di quest’incontro, ma dovevamo essere verso gennaio del 1995; l’articolo preparato per la Rivista dell’Enea venne pubblicato nel numero di marzo. E venne studiato da molti di noi. Finalmente avevamo un panorama dei ragionamenti che collocavano il nostro lavoro nel quadro più ampio di un sistema di sviluppo economico e sociale. Non avevamo la spiegazione delle singole innovazioni, ma una storia dello sviluppo dell’uomo, con una attenzione particolare alla questione delle relazioni tra occupazione/disoccupazione e nuove tecnologie. Questa collaborazione continuò per alcuni anni e ad un certo punto presi il coraggio di fare delle osservazioni partendo dalla descrizione di Sylos relativamente alle due linee dell’innovazione tecnologica da lui descritte e cioè la linea di “ grandi innovazioni che hanno luogo in modo discontinuo e che di solito risultano da progressi scientifici non direttamente correlati ad impulsi economici …. e da piccole innovazioni che prolungano le grandi e dipendono da impulsi economici inseriti nell’equazione della produttività.” Le prime frutto delle attività di ricerca condotte autonomamente e, quindi, innovazioni esogene e le seconde sostanzialmente endogene. In sostanza mi sembrava che, da ul lato, queste due grandi categorie d’innovazioni fornissero una suddivisione troppo ridotta di un fenomeno molto complesso che ormai comprendeva anche la categoria delle innovazioni programmate e, dall’altro che mentre le piccole innovazioni si collegavano ad un preesistente sistema di mercato, le grandi erano in buona misura prive di vincoli, anche dal punto di vista dei prezzi praticati, essendo, inoltre, difficilmente confrontabili i valori relativi delle rispettive produttività. Mi parve che Sylos apprezzasse queste osservazioni sino al punto di ricordare come fosse una sua convinzione che alle volte coinvolgere un interessato privo dei pregiudizi forniti dalla formazione, poteva risultare utile.
Peraltro discutere con Sylos non era facile, almeno per me. Anzi difficilissimo perché sulla sua specializzazione io mi limitavo a formulare degli interrogativi stando attento a non dire sciocchezze eccessive e Sylos non era certamente l’interlocutore con cui trattenersi per fare delle chiacchiere o delle divagazioni. Ma anche se lo scambio era sempre correlato alle questioni dell’economia dell’innovazione, mi accorsi che il massaggio che trasmetteva Sylos era ben più complesso e ricco. Non intendo affatto dire che Sylos volesse fare delle prediche o delle lezioni morali. Questo sarebbe stato del tutto contrario alla sua etica. Una etica che era fatta di onestà intellettuale, di preminenza della ragione, di sensibilità per la dimensione sociale dei problemi.
Ad un certo punto di questi dialoghi Sylos mi disse di un suo interessamento presso il CNEL per recuperare una riflessione sulla crisi dei Distretti Industriali che soffrivano di una forte crisi ma che sarebbe stato possibile immaginare un intervento pubblico capace se non di eliminare quella crisi, almeno di introdurre delle modificazioni entro quei sistemi tali da contrastarne le cause. E uno degli interventi avrebbe dovuto riguardare proprio i rapporti tra questi sistemi e l’innovazione tecnologica. Come Enea avevamo avviato da tempo una linea di lavoro proprio con queste strutture produttive incominciando da Prato e poi Sassuolo, ecc. L’intervento dell’Enea aveva l’intento di preparare delle tecnologie che utilizzando le competenze dei ricercatori dell’Ente avrebbero potuto essere utili a quei sistemi produttivi. Sylos mi introdusse in quel lavoro del CNEL dove, per la verità, era prevalente un atteggiamento molto critico circa le possibilità di uscire da quella crisi. La colpa prevalente era riversata sui paesi in via di sviluppo e, in particolare per quanto riguardava Prato, verso la Cina. I motivi erano ovvii e difficilmente confutabili ma Sylos aveva buoni argomenti e, soprattutto, una forte autorevolezza per sostenere come esistessero competenze sia da parte del lavoro, sia da parte degli imprenditori, che potevano offrire margini per una azione di recupero competitivo se solo aiutato da un intervento pubblico. Cercando di intervenire a suo favore cercai di introdurre i concetti dell’innovazione tecnologica, che partendo da quella storica di tipo meccanico, avrebbe dovuto acquisire, per il nuovo contesto competitivo, la capacità di elaborare le innovazioni di matrice elettronica e informatica. Per la verità questa era la mia ipotesi circa la natura e i motivi della crisi dei Distretti italiani, ma nel contesto di quel dibattito al CNEL sembrò una conferma della posizione di Sylos. Ci furono varie riunioni, ma le conclusioni si andavano sempre più stemperando, per cui non mi meravigliai quando Sylos mi disse che ci sarebbe stata una riunione in CGIL su quella questione e che avrei dovuto partecipare; evidentemente aveva cercato una sponda più reattiva ed effettivamente l’incontro ebbe un tono diverso ma anche in quella sede l’ipotesi dell’intervento in politica industriale di un attore pubblico rappresentato da un ente di ricerca non era di facile digestione e, personalmente, non capii se si trattava di una ovvia perplessità data la novità che avrebbe avuto un intervento di quel tipo o se c’era una condivisione a tenere fuori dalla politica industriale qualunque attore che non fosse quello dell’aiuto finanziario alle imprese.
Fatto sta che anche da quella sede non ricordo sia uscita una iniziativa politica di un qualche rilevo. Anche questo, ripensandoci, mi sembrò un segnale che si aggiungeva ad un quadro nel quale gli interrogativi si andavano accumulando. Non a caso di lì a non molto tempo – era il 2005 – per Sylos quegli interrogativi si trasformarono in una imprecazione: “Ahi serva Italia – Un appello ai miei concittadini”. Credo che siano tanti quelli che in questi anni hanno trovato in quella lettura delle riposte.”
Roma, 19 novembre 2020