Sergio Ferrari: La crisi in atto ha motivazioni speculative e rischi politici gravi – L’ultimo libro che Paolo Leon ha pubblicato, “I Poteri ignoranti”, pochi giorni prima di lasciarci, ha come soggetto il “particolare capitalismo nato dalle riforme conservatrici di Thatcher e Reagan e portato a compimento da Clinton e da Blair e finito poi in un drammatico crollo.” . Un libro necessario per fare chiarezza su una situazione molto discussa ma, a tutt’oggi, con poche conclusioni convincenti anche in conseguenza del prevalere di quelle teorie che erano e sono rimaste alla base della gestione della politica economica di quegli anni e tutt’ora prevalenti. Un libro che s’inserisce coerentemente nella ampia bibliografia dell’autore che, non a caso, inizia nel lontano 1963 con la pubblicazione di una “Ipotesi sullo sviluppo dell’Economia Capitalistica”.
Occorre subito chiarire che non si tratta di uno studio di una delle tante variazioni cicliche delle vicende del capitalismo. Per Leon questa fase critica della storia rappresenta una delle evoluzioni-involuzioni del capitalismo e, in questo senso, “un evento storico” che non chiama in causa solamente i due leader liberisti ricordati, ma poi anche i presidenti democratici che come Clinton fecero della libera circolazione dei capitali una priorità, talché la finanziarizzazione dell’economia si deve attribuire alle iniziali liberalizzazioni americane, prima ancora che a quelle seguenti dell’Unione Europea.
Questa finanziarizzazione si sviluppa con l’apertura dei mercati finanziari senza definire regole di comportamento almeno parallele a quelle che condizionano “l’economia delle cose”. In questo modo con la globalizzazione – che si accentua fortemente con il crollo del muro di Berlino – quei mercati finanziari oltre a togliere il potere alla politica dei singoli Governi, si allargano pressoché all’infinito, sino alla creazioni di sistemi puramente speculativi con le conseguenti crisi economiche di dimensioni altrettanto incontrollabili, anche se non imprevedibili. Uno dei risultati che ne deriva sta in una crescita della cattiva, in quanto diseguale, distribuzione delle risorse, con difficoltà nel promuovere la domanda dato lo sviluppo marginale dell’occupazione e delle retribuzioni, ma non certo delle rendite e dei profitti.
La nuova economia finanziaria che emerge, scopre e s’inventa una sua logica dove alla figura del capitalista che è interessato al profitto, si aggiunge la figura dell’imprenditore che cura la crescita della rendita. Queste due figure dello scenario economico non sono necessariamente alternative ma certamente interpretano due diversi interessi – quelli del profitto e quelli del capitale – e si ritrovano sullo stesso fronte, ad esempio, nella politica per battere l’inflazione attraverso la riduzione dei diritti sindacali, del costo del lavoro, del welfare state, di molte libertà civili e della spesa pubblica da sostituire con le privatizzazioni.
Il conseguente mancato recupero economico che si registra dopo quasi dieci anni dalla fine apparente della crisi economico-finanziaria, si spiega cosi anche con il debole sviluppo della domanda dei paesi ricchi, in conseguenza della modesta crescita dei salari. mentre rallentano, almeno in Europa, gli investimenti tutt’ora bloccati dalle politiche di austerità.
Il richiamo ai “poteri ignoranti” per comprendere i tempi del tutto anomali del permanere nell’Unione della crisi economica originata nel 2007 – e della quale non si intravvedono tutt’ora le conclusioni – non è uno dei tanti ricorsi al “libero” linguaggio ai quali si fà ampio uso negli attuali pseudo-dibattiti, ma rappresenta l’unica spiegazione possibile a fronte di un pervicace ricorso alle ricette liberiste, nonostante gli evidenti fallimenti, ormai riconosciuti – a parole – anche da alcuni esponenti di quella scuola. Non è dunque un caso se tra i gestori di quella politica si ritrovano gli attori/autori di quei “poteri ignoranti” i quali, con la cattiva distribuzione della ricchezza, si collocano dalla parte delle minoranze avvantaggiate. In termini più generali si dovrebbe affermare che “gli Stati non sono stupidi, ma sono ormai un potere che agisce sulla base della cultura di chi li governa.” E questa cultura accomuna attualmente gli imprenditori ai capitalisti per i quali “qualsiasi intervento pubblico genera più costi che benefici.”
La lucidità delle analisi e la descrizione logica che accompagna quelle analisi ( una caratteristica delle trattazioni di Leon ), danno un peso rilevante all’interrogativo finale espresso in questo libro: “C’è da chiedersi se gli Stati mercantilisti, ridotta la sovranità nazionale, non cercheranno di ricostruirla attraverso il conflitto aperto con gli altri Stati.”. Una ipotesi che è bene non collocare tra quelle improbabili. Sarà, dunque, opportuno predisporre per tempo delle soluzioni alternative agendo sia sul piano interno sia sul piano delle politiche dell’UE.
Anche su queste questioni la lettura del libro di Leon indica una serie di ricette sulle quali sarà opportuno tornare specificamente. Per questa operazione è necessario, tuttavia, disporre non solo di una corretta analisi dei problemi aperti e delle conseguenti terapie ma anche e soprattutto, della capacità di recuperare dei “ valori ” senza i quali, come i “poteri ignoranti” vanno affermando, tra destra e sinistra non ci sarebbero più differenze.
Anche su queste questioni la lettura del libro di Leon sarà molto utile, e per quanto riguarda questo paese, già dalle prossime stesure delle leggi finanziarie ne potremo avere dei riscontri.
Roma, 24 agosto 2016