di Sergio Ferrari
Roma, 28 dicembre 2008
Sembra che finalmente nel confronto storico tra socialisti e comunisti ci si incominci ad intendere nel senso che si riflette – forse – sulla questione centrale e non sui dettagli e sulle conseguenze.
E la questione centrale è quella che ha animato – si fa per dire – le relazioni interne alla sinistra dalle origini. Da una parte: premesso che il sistema capitalistico si basa su alcune logiche obiettivamente alienanti e discriminatorie, per il suo superamento occorre abbattere il palazzo del potere e poi si vedrà. Dall’altra: le premesse sono condivisibili ma occorre ribaltarne le logiche dal suo interno giocando sulla forza delle democrazia..
Un problema per sua natura irrisolvibile sulla carta e come tale destinato a perpetuarsi sino a quando… Fino a quando il realizzarsi di una delle due ipotesi – la rivoluzione sovietica – costrinse ad una scelta dal momento che il dibattito non poteva più essere ricondotto all’interno della dialettica e le conclusioni rinviate “al prossimo Congresso”….
Chi non condivise quella soluzione aveva varie e non certo banali critiche; che si possono condensare nel fatto che la “democrazia” in quel percorso sembrava molto discutibile e lo stesso valeva per i metodi. Che tutto potesse essere giustificato nel nome di un bene supremo, che anche la violenza individuale e di stato rientrassero in questo giudizio, sembrava una posizione più vicina a quella di una setta religiosa che di un movimento di liberazione della società.
Dopo alcuni decenni, durante i quali nemmeno la guerra al nazismo aveva messo in secondo piano a sinistra le questioni dei valori e del metodo e dopo che la sfida tra i due sistemi che si fronteggiavano si risolse fortunatamente in termini pacifici e clamorosi, apparentemente dalla sera al mattino, per tutti quei molti che avevano continuato a sperare in una palingenesi, si presentò la necessità di fare i conti con se stesi e con il prossimo. Quella loro speranza era in contrasto totale con la realtà che si veniva via, via a scoprire. Questo alla base. Ai vertici il tema è più complesso e la responsabilità del tutto diversa, anche nei confronti di quella base che aveva costituita tanta parte della forza politica del PCI.
Per quei vertici una buona formula degna del tatticismo e del cinismo precedente fu “il comunismo è morto ma anche la socialdemocrazia non sta affatto bene”. Una formula alla Woody Allen che ebbe successo particolarmente in Italia grazie agli errori strategici compiuti, nel frattempo, da Craxi e craxisti. E grazie ai quali disfarsi del testimone storico scomodo divenne, dopo qualche tentennamento, un gioco da ragazzi. E divenne anche la precondizione per dare un occhio dalle parti del liberismo allora, peraltro, imperante.
Un onesto e coerente riconoscimento della ragione storica del socialismo non ci sarebbe stata e non c’è ancora stata. Una riflessione culturale che consentisse di acquisire l’insegnamento della storia è rimasto nell’ombra e affidato alle sensibilità personali. La questione, nella migliore delle ipotesi, viene dibattuta in termini di confronto tra Craxi e Berlinguer; e certo è difficile andare in giro dicendo che era storicamente meglio Craxi….. E i socialisti che hanno questa pretesa non servono certo per tornare al 1921…. Ma rifiutare la riflessione critica con il socialismo come se la storia di un movimento internazionale potesse ridursi ad un confronto con un Craxi, non è molto meglio, anzi peggio di Craxi stesso. Ma la necessità di queste riflessioni non vuol certo aprire la gare tra chi aveva ragione o meno, ma ha una esigenza politica essenziale costituita da due questioni. La prima è che se si vuole costruire una formazione politica occorre darsi una storia e dei riferimenti; non si vive lasciando aperte tutte le questione della storia passata e – quindi – presente. Questo errore l’ha già fatto il post-PCI e i risultati ovvi si sono visti. La seconda questione è che nell’analisi critica della separazione del 1921 sono in discussione non solo questioni di principio, che non possono essere trascurate, ma la capacità di trovare il senso e la valenza di quei valori e di quei principi nell’oggi della nostra società nazionale e internazionale.
Mentre dunque una parte degli ex comunisti ha fatto il salto “oltre” la socialdemocrazia, non a caso approdando al PD, una parte residua si è inventato un “comunismo” tutto a suo uso e consumo, una specie di paradiso per definizione, come tale indiscutibile. Traducono in effetti quella dimensione religiosa che colloca molto spesso i comunisti vicino ai cattolici. Solo in questo modo si può tentare di capire come si possa pretendere di chiamarsi tranquillamente “comunisti”, senza nessun riferimento – magari a piè di pagina – che consenta a tutti di capire di che si tratta. Questa parte continua a dichiararsi comunista, ma afferma con grande convinzione che la democrazia non è un optional, che la violenza va bandita sempre e comunque, che non si può scindere la libertà dalla eguaglianza …. Una serie di contraddizioni che lasciano allibiti, ma che sul piano politico lasciano il tempo che trovano. E resta, infatti, la questione che se è immaginabile un partito socialista con al suo interno una minoranza anche troskista, non altrettanto è possibile immaginare per una minoranza socialista la presenza in un partito rifondarolo.
Il guaio di questa situazione è che mentre i socialisti si sono autoesclusi da una responsabilità storica che invece li chiama in causa, sulla maggioranza degli ex PC è caduta di fatto la responsabilità di guidare la sinistra….. E poiché la socialdemocrazia sta male, occorre andare “oltre” …. occorre superare vecchie posizioni… La lunga abitudine a pensare che lo stato si abbatte e non si riforma ha creato una serie di ostacoli mentali, non ad accettare la democrazia, ma piuttosto a concepire un processo riformatore che si elevasse sopra il livello della gestione.
E questo slogan dell’andare oltre non ha rappresentato uno sforzo di elaborazione, ma un lungo e vano tentativo di evitare la “questione socialista”. Dal PCI al PDS, ai DS sino al PD questo “oltre” era in sostanza un faticoso viaggio verso il centro, sino ad incontrarsi con quelli che socialisti non erano mai stati e che onestamente non intendevano nemmeno diventarlo. L’ipotesi corollario non certo marginale di questo processo era che abbandonate le utopie era necessario conservare almeno il potere e questo era il senso e la direzione per andare oltre.
Ma le indeterminazioni politiche hanno il difetto che quando meno te lo aspetti ti si ripresentano e domandano il conto. Nello specifico la questione del socialismo sempre evitata con qualche trucco, a livello europeo non consente scappatoie. Non che rappresenti una scelta troppo radicale – per carità – ma anche cosi è troppo per dei soci con i quali si pensava di andare oltre. Ma ognuno aveva una sua visione di questo “oltre” che non necessariamente collimava con quella dell’altro.
La fantasia del nostro sistema politico potrà trovare ancora una volta – forse – un escamotage ma solo per vivacchiare sulla rendita lasciata da un Berlusconi, che se molti in Europa si augurerebbero di avere come avversario politico, in Italia è più che sufficiente per conservare in frigo per un tempo indefinito la nostra alternativa di sinistra.
Che questa Europa Socialista abbia a sua volta necessità di un qualche profondo restauro, non pare dubbio. Tuttavia sembra difficile che questa operazione possa essere sollecitata da parte del PD.
Se a livello europeo il PSE è riuscito ad emettere un documento tutto sommato accettabile, ancorché senza gloria – se si pensa che si trattava di dare la linea rispetto ad una crisi che tutti dicono essere come e forse peggio di quella del 1929 – a livello italiano nessuna “sinistra” è riuscita a fare di meglio. La crisi internazionale è rimasta senza traccia: se dal 1929 nacque l’intervento pubblico in economia, il welfare, il ruolo del sindacato, cioè la prima rivoluzione socialdemocratica, oggi qualcosa del genere sarebbe necessario … , ma di socialdemocratico cosa resta in questo paese?. Se sbandierare i vecchi vessilli è meglio di niente, quando anche quei vessilli vengono ammainati che cosa resta?. Nemmeno la possibilità di modificare quella perversa distribuzione della ricchezza che è in atto …. Ma tutto questo non fa che rendere sempre più evidente l’anomalia del sistema politico del nostro paese, dove secondo alcuni a sinistra ci sarebbe lo spazio solo per qualche percento marginale di elettori !!