Trovare un bandolo della matassa per cercare di illustrate tutte le questioni connesse con il tema “Energia” è un’operazione certamente molto complessa. Ma proprio questa – peraltro nota – complessità serva a dimostrare come mai questo tema sia da sempre un oggetto centrale nella storia dell’umanità e, quindi, del dibattito politico ed economico. Un dibattito fatto spesso, come ben sappiamo, non solo di parole ma sovente anche di guerre e di violenze. Varie organizzazioni internazionali hanno in questi anni presentato le problematiche generali dell’energia e trovato uno slogan piuttosto rappresentativo di queste problematiche con i termini dello sviluppo sostenibile. Uno slogan che comprende a sua volta tre componenti connesse: la sostenibilità ambientale, la sostenibilità economica e la sostenibilità sociale. Tre sostenibilità interdipendenti nel senso che in assenza di una anche le altre avrebbero vita difficile. La sostenibilità ambientale nasce dai materiali utilizzati per la produzione di energia e attualmente, essendo questi essenzialmente combustibili fossili, riguarda in maniere centrale – ma non esclusiva- gli effetti relativi ai cambiamenti climatici. Per la valutazione economica essenziali sono i dati relativi ai costi dell’energia all’utente ma anche – e sovente si dimentica – i costi o le entrate relativi ai bilanci pubblici come la bilancia dei pagamenti, da un lato o le tasse e le accise, dall’altro. Per la sostenibilità sociale il referente centrale è dato dal valore dell’occupazione coinvolta in termini diretti e indiretti e dalla qualità di questo lavoro.
Fino ad un po’ di anni fa uno dei grandi problemi del settore energia era rappresentato dalla disponibilità delle risorse naturali, sulle cui previsioni in realtà si sono giocati molte vicende variamente speculative essendo questa disponibilità un dato “controllato” e tutt’altro che scientifico. La concentrazione territoriale delle risorse ha poi costituito uno dei fattori di instabilità interna ed internazionale delle relazioni politiche, in particolare dal momento che i paesi che alimentano la domanda non erano- e non sono – gli stessi che detengono le fonti. Questi problemi non sono certo svaniti ma sono stati in qualche misura superati dalla questione degli effetti indotti in termini di cambiamenti del clima.
Dal punto di vista delle diverse fonti energetiche queste attualmente si distribuiscono la domanda mondiale nelle seguenti proporzioni percentuali, per un totale di 15 TW
:
Petrolio = 37,3
Gas Naturale = 23,3
Carbone = 25,3
Idroelettrico = 6
Nucleare = 6
Geotermia, eolico,
solare, legno = 0,8
La domanda a sua volta è espressa dai vari settori economico, ad esempio a livello Italia, nel 2011 nelle seguenti proporzioni percentuali:
Industria = 23,4
Trasporti = 31,4
Civile = 36,6
Agricoltura e Pesca = 2,2
Usi non energetici = 5,4
Bunkeraggi = 2,5
Per un totale di 134,5 Mtep (Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio)
La domanda complessiva a livello mondiale tende a crescere del circa 2 % all’anno in relazione ad una tendenza alla stabilizzazione/riduzione dei consumi nei paesi avanzati e ad un aumento da parte dei paesi emergenti.
Sulla sostenibilità ambientale si è aperto un dibattito che è durato molti anni ma da tempo le conclusioni hanno confermato la relazione tra attività antropiche a aumento delle temperature in termini tali da rappresentare una minaccia reale. Da tempo, quindi, sia a livello internazionale sia a livello europeo si sono avviati e definiti accordi per ridurre la presenza dei gas sotto accusa. Nell’Unione Europea l’accordo indica il cosi detto “20-20-20” entro il 2020 e cioè la riduzione rispetto ai dati del 1990, della emissione di gas serra del 20 %, un aumento dell’efficienza nei consumi energetici del 20 % e una quota dei consumi energetici coperti da fonti rinnovabili per il 20 %.
E’ ragionevole ritenere che gli andamenti dei consumi energetici nei prossimi decenni abbiano un andamento tale da rendere insufficienti questi provvedimenti elaborati quando i consumi energetici non erano ancora influenzati dalla domanda dei paesi in via di sviluppo. L’attuale crisi economica internazionale forse non consente delle immediate revisione di quegli obiettivi, ma è da supporre che un intervento correttivo possa essere definito nei prossimi anni.
In questo pur sintetico scenario, che riguarda anche il nostro paese, si delineano due aree d’interventi. La prima comprende quei provvedimenti sul sistema energetico attuale che deve essere accompagnato ad un declino ma in arco di tempo di alcuni lustri, verso un cambiamento radicale al termine del quale – cioè in una prospettiva dell’ordine dei 50 anni – solo il metano potrebbe conservare una qualche ruolo.
La seconda area d’intervento riguarda evidentemente la trasformazione del sistema energetico nel suo complesso. Si tratta di una trasformazione che richiama una vera e propria seconda rivoluzione industriale. Ridurre fortemente l’esistenza della raffinazione petrolifera, delle centrali termoelettrica, di tutto l’apparato dei trasporti dei prodotti energetici, compreso il carbone, adattare i sistemi di trasferimento dell’energia elettrica in relazione alla diversa distribuzione sul territorio delle nuove fonti energetiche rinnovabili, modificare i sistemi di utilizzo dell’energia nella produzione dei vari beni prodotti dal sistema industriale, nei servizi. Una rivoluzione industriale nel corso della quale si rimettono in discussione le possibili relazioni internazionali con una evidente accentuazione dell’importanza di un entità politica europea, il mercato del lavoro in termini occupazionali e di qualità, ma anche in termini di relazioni sociali, ecc.. Una rivoluzione industriale che riguarda pressoché tutti i paesi ma che non per tutti potrò essere uguale, e che non può essere evitata essendo l’alternativa l’uscita dal consesso civile.
Questa sembra, dunque, la sfida che abbiamo di fronte Tre sembrano dover essere le decisioni politiche conseguenti da assumere:
– un processo cosi complesso e prolungato nel tempo richiede l’elaborazione di un Piano Energetico Nazionale Questo Piano non deve essere un libro dei sogni ma lo studio attento di obiettivi e strumenti coerenti con il rilievo dei problemi.
– i tempi e i modi di attuazione devono corrispondere a decisioni attuative assunte dalla responsabilità politica poiché non è immaginabile di affidare ad un interesse privato l’attuazione di processi che richiedono competenze e impegni del tutto straordinari e di interesse generale Questa funzione programmatoria e di interazione con il sistema sociale e produttivo richiede a sua volta strutture e competenze specifiche:.
– una politica industriale che renda sostenibile un processo di trasformazione altrimenti con effetti positivi solo di natura ambientale e che deve, quindi, occuparsi della sostenibilità economica e sociale, in primo luogo proprio sul fattore lavoro.
Quest’ultimo punto merita alcune precisazioni in quanto riguarda una forte debolezze politica e strutturali del nostro paese. Il recente caso degli incentivi alle fonti rinnovabili chiarisce questa questione. La necessità di modificare profondamente il sistema energetico del paese con l’introduzione di nuove tecnologie potrebbe rappresentare una grande opportunità anche per correggere quegli oneri che l’attuale sistema degli approvvigionamenti comporta. Come è noto, infatti, abbiamo una dipendenza energetica del’ordine dell’80 % e oltre, corrispondenti ad oneri sulla bilancia dei pagamenti – e quindi sul Pil – di qualcosa come 40-50 miliardi di euro all’anno.
Il passaggio alle nuove tecnologie energetiche potrebbe, dunque, offrire al paese una occasione straordinaria Per agevolare la creazione di un mercato per le nuove tecnologie energetiche vari paesi, compreso il nostro, hanno introdotto agevolazioni alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Questi incentivi sono stati caricati sulle bollette degli utenti per cui attualmente si calcola che una famiglia tipo debba sopportare un aumento del 18-19 % del prezzo dell’elettricità consumata. Inoltre l’obiettivo della riduzione del costo dell’energia era – e resta – una questione essenziale per la competitività di molti settori industriali. Ma come sono stati impiegati questi incentivi? Ovviamente nell’acquisto di impianti fotovoltaici o eolici e poiché il sistema industriale italiano era ben lontano da poter fornire queste nuove tecnologie, questi acquisti sono stati coperti dalle forniture provenienti dalla Germania e dalla Cina con un aggravio della nostra bilancia commerciale che nel 2011 ha superato i 10 miliardi di euro. Questa sembrerebbe l’attuale versione italiana della green economy.
La metà di questo paradosso sembra in fase di superamento nel senso che gli incentivi andranno ad esaurimento. Ma l’altra metà del paradosso, e cioè l’assenza di una politica industriale, non scompare.
Questa situazione negativa relativa alle nuove tecnologie energetiche si ritrova anche in materia di tecnologie per incidere sull’uso razionale dell’energia, che rappresenta una seconda ed essenziale componente di una politica energetica. Non è, quindi, un caso che si sentano anticipazioni sull’automobile elettrica ma nessuna di queste proviene da imprese nazionali e, peraltro. la conferma definitiva di questo crescente ritardo tecnologico si ritrova nella bilancia dei pagamenti relativa ai prodotti ad alta tecnologia che ha ormai superato un punto di Pil all’anno.
Poiché questo ritardo tecnologico del nostro sistema competitivo, da un lato, e l’assenza di una politica industriale, dall’altra, sono realtà che si accumulano e si amplificano nel tempo e poiché questo tempo dura ormai da alcuni lustri, l’interrogativo preoccupante che nasce è: come potrà il sistema economico del nostro paese affrontare quella rivoluzione tecnologico-industriale del sistema energetico?.
Per tentare una ipotesi in positivo occorre ricordare che l’innovazione tecnologica non è una condizione statica ma dinamica nel senso che la tecnologia attualmente competitiva può essere superata da una migliore o da una nuova innovazione. Per operare in questa direzione occorrono le conoscenze scientifiche e tecnologiche e un sistema nazionale dell’innovazione nel quale confluiscano progetti e strutture di ricerca, comprese quelle pubbliche, senza le quali il contributo privato sarebbe del tutto insufficiente.
Naturalmente occorre che sopra ci sia una convinzione politica.
Roma, ottobre 2012