di Renzo Penna
9 dicembre 2008
Dalla metà del secolo scorso al 1990 il raccolto mondiale di cereali è più che triplicato passando da 630 milioni a due miliardi di tonnellate. Una crescita non legata all’aumento delle aree coltivate, come era sempre successo dalla nascita dell’agricoltura, ma da un forte aumento di produttività in larga parte legato all’uso dei combustibili fossili derivati del petrolio per il funzionamento dei trattori, l’impiego delle pompe d’irrigazione e dei fertilizzanti azotati.
L’impiego della tecnologia in agricoltura ha consentito di passare in pochi anni da una produzione di meno di 1,1 tonnellate per ettaro sino a quasi 2,5. Questa crescita di produttività, iniziata nel 1950, si è caratterizzata per il triplicarsi mondiale delle aree irrigate, un aumento di dieci volte dell’uso dei fertilizzanti e la diffusione di varietà di cereali ad alto rendimento.
Ma dal 1990 questa crescita ha iniziato a rallentare e dal 1984, quando raggiunse un picco di 342 chilogrammi a persona, la produzione mondiale di cereali, scesa a 302 chili nel 2006, è al di sotto dell’aumento della popolazione che aumenta ogni anno di 70 milioni di unità.
Le conseguenze per la fame nel mondo di questo calo nei raccolti sono tornate ad avvertirsi e, secondo la FAO, il numero di persone sottonutrite che si era di molto ridotto tra il 1950 e l’84 e ha continuato a diminuire sin verso la fine degli anni ’90, è tornato a salire. Le cause di questa contrazione nei raccolti dei tre principali cereali: grano, mais e riso, sono diverse, ma è indubbio che, in sette degli ultimi otto anni, la loro produzione mondiale presenta un deficit e le riserve mondiali sono al loro livello minimo.
In questo inizio di secolo, mentre le aree irrigate si sono, negli ultimi cinquanta anni, di molto estese, le riserve idriche disponibili in alcuni paesi cominciano a scarseggiare. In Cina, ad esempio, il raccolto di grano dal ’97 ha subito un decremento del 20% per l’abbassamento delle falde freatiche. Incidono i cambiamenti del clima. Secondo gli agronomi, a ogni grado di aumento della temperatura al di sopra della media, durante la stagione vegetativa, si può avere un decremento del 10% del raccolto dei cereali. Ad aggravare le difficoltà dei coltivatori è, poi, la trasformazione dei terreni coltivabili a usi non agricoli che avviene in molte parti del mondo attraverso una intensivacementificazione del territorio. In Italia, informa Carlo Petrini, negli ultimi quindici anni sono spariti più di tre milioni di ettari di superfici libere, ed è stata edificata un’area più grande della somma di Lazio e Abruzzo.
Da ultimo, in tutto il mondo, i coltivatori sono alle prese con una pressante ed esplosivarichiesta di cereali per la sintesi di etanolo da impiegare come carburante per l’autotrazione. Questo fenomeno è recente e legato all’aumento del prezzo del greggio. Nel 2005, quando il barile di petrolio ha superato i 60 dollari, gli investimenti sul bioetanolo derivato da mais sono diventati molto remunerativi e negli Stati Uniti è moltiplicata la realizzazione di nuove distillerie, superando il Brasile nel ruolo di maggiore produttore mondiale di bioetanolo. Ma, mentre il Brasile usa la canna da zucchero come fonte di etanolo, gli USA utilizzano in prevalenza il mais e nel 2007 già un quinto del raccolto totale è stato utilizzato per produrre 31,4 miliardi di litri di etanolo, sufficiente per appena il 4% del carburante destinato all’autotrazione.
Anche in Europa sta aumentando la produzione di biocarburante. Nel 2006 l’Unione Europea ha prodotto circa 4,5 miliardi di litri di biodisel da oli vegetali e 1578 milioni di litri di etanolo, distillati da cereali in Francia, Spagna e Germania. Per raggiungere il suo obiettivo del 10% del carburante per autotrazione da risorse vegetali, l’Europa sta incrementando l’importazione di olio di palma da Indonesia e Malesia e ciò ha come conseguenza il rapido annientamento delle locali foreste pluviali in favore delle più richieste piantagioni.
Il mais è il cereale più usato al mondo sia per l’alimentazione che la produzione di etanolo. Nel 2006 il raccolto mondiale di mais ha superato i 700 milioni di tonnellate, quello del riso 420 milioni, mentre il raccolto del grano è stato inferiore ai 600 milioni. Questi tre sono i cereali più diffusi e rappresentano l’85% dei due miliardi di tonnellate del raccolto mondiale.
La produzione di mais degli Stati Uniti è circa il 40% del globale e rappresenta i due terzi dell’esportazione mondiale. Di conseguenza se aumenta, come sta avvenendo, la frazione del raccolto di cereali destinata alla distillazione di etanolo, il prezzo del cibo è destinato a salire in tutto il mondo. Nel settembre 2007 il prezzo del mais è quasi raddoppiato rispetto ai due anni precedenti, quello del grano è più che raddoppiato e il prezzo dei semi di soia è salito di più del 50%. In Africa, in Asia e in America centro-meridionale, centinaia di milioni di persone sono colpite da questo progressivo rincaro di tutti i prodotti agricoli che si riverbera sul pane, il latte e la carne. Oltretutto la necessità di biocarburanti è enorme.
I cereali necessari per fare un solo pieno a un cosi detto SUV con un serbatoio da 120 litripotrebbero nutrire una persona per un anno e, se l’intero raccolto degli Stati Uniti fosse destinato ad etanolo, sarà, al massimo, in grado di coprire il 18% delle richieste interne di carburante per autotrazione. Negli USA, per sostituire l’attuale 4% di carburante da bioetanolo, basterebbe aumentare l’efficienza nei consumi degli attuali veicoli del 20%. Più in generale si tratta di passare ad automobili ibride a trazione mista benzina-elettrico.
Solo l’insensibilità delle nazioni più ricche, la speculazione e gli interessi delle lobby agricole possono portare a mettere in competizione l’uso dei cereali per fare carburante o per nutrire la popolazione in un periodo già di scarsità, rischiando una vera e propria crisi alimentare di enormi proporzioni.
Occorre che la produzione di carburante in concorrenza con il cibo, sia negli USA che in Europa, si fermi e si sviluppino le alternative che permettono di produrre carburante da alberi a rapida crescita, come la Panico Verga, un misto di erba di campo e altri materiali a base di cellulosa, che possono essere coltivati su terreni incolti. O utilizzandoterreni abbandonati e marginali per coltivare arbusti che necessitano di poca acqua, come la Jatropa Curcas i cui frutti con semi oleosi sono utilizzati per produrre biodisel, come sta avvenendo in India per iniziativa delle ferrovie che lo utilizzano nelle locomotive. Esiste poi la tecnologia per convertire la cellulosa in etanolo, nei confronti della quale vanno destinati gli incentivi per ridurre gli attuali costi di produzione doppi rispetto a quelli dell’etanolo derivato da cereali.
In questo senso è necessario che l’indirizzo del progettato impianto di bioetanolo previsto a Rivalta Scrivia, che ha sin qui incontrato una forte opposizione da parte dei cittadini, si muova, nel caso, decisamente in questa direzione.
Alessandria, ottobre 2008