La destra vince ma non sfonda nel paese, come era atteso e anche grazie alla rimonta di Conte-M5S. Certo la sua forza elettorale è moltiplicata da una legge elettorale indecente e incostituzionale che Letta e la Meloni di comune accordo non hanno voluto modificare. Ma la realtà è che gli italiani, i pochi che vanno ancora alle urne beninteso, non sanno più letteralmente a che santo votarsi e i voti della Meloni vengono principalmente dai suoi alleati di destra che li perdono per la senescenza di Berlusconi da un lato e per le comiche disavventure della Lega dall’altro. Gli operai e le classi popolari abbandonate dal falso centrosinistra neoliberale italiano, i cui riferimenti sono gli imprenditori e i mercati (e si vede numericamente, infatti non vince mai un’elezione pur essendo sempre al governo) erano già passati alla concorrenza da molto tempo da quando Berlusconi sconfisse Chiamparino all’uninominale nel collegio di Mirafiori, e da quando i ricchi borghesi milanesi eleggono il sindaco di Milano mentre il resto della regione è tutto “verde”.
Non che la denominazione di “centrodestra” abbia alcun riferimento con la realtà in una coalizione dove di moderato c’è ben poco.
L’addolcimento della durezza dell’acqua della “destra” con gli ioni del “-centro” deriva un po’ dall’ipocrisia dei giornali dell’establishment che più di venti anni fa hanno rapidamente accolto Berlusconi e i suoi accoliti nel “salotto buono”; e un po’ dalla natura borghese e salottiera di questa destra, che se dovesse pensare di marciare su Roma non saprebbe neppure da che parte cominciare. Sono i sogni che fa La Russa di notte ma che, quando si sveglia al mattino, sa di non poter realizzare anche perché la prospettiva della discoteca è giustamente più attrattiva.
In realtà abbiamo a che fare col solito centrodestra, coi soliti protagonisti di sempre, da Tremonti a La Russa alla Santanché, con Nordio, Sgarbi, Marcello Pera ecc. che rimane elettoralmente compatto (anche se non politicamente) mentre i poveri elettori, ormai anche loro disperati come quelli del PD, passano da una lista all’altra della coalizione a seconda delle condizioni del momento. Questa volta era il turno della “Giorgia” nazionale la cui discendenza diretta dal partito post-fascista per eccellenza ne fa all’estero una osservata speciale con tutte le conseguenze negative per la nostra già ridotta autonomia di scelta e di governo che si possono immaginare.
Certo Giorgia Meloni si è dannata tanti anni alla ricerca di una identità conservatrice “moderna”, rendendosi benissimo conto che la nostalgia del Duce è un residuato bellico completamente inservibile, utile a tener buono uno zoccolo duro elettorale dove ancora l’idea che Mussolini “ha fatto anche cose buone” alligna con qualche radicata nostalgia. Ma stavolta accade l’imprevisto alla stessa Meloni: ha vinto lei le elezioni ed essere la prima donna virtualmente presidente del Consiglio è solo la minore delle novità, la cosa che più la terrorizza (come ha notato perfidamente Crozza) è che adesso le tocca veramente governare, e qui non si scappa, servono idee e programmi mentre a disposizione ha solo un mucchio di slogan consumati e vecchie parole d’ordine, come il presidenzialismo, del tutto inservibile se si pensa che la vera grande sfida contemporanea è quella di riportare l’economia sotto il controllo della politica, sottraendola alla sovranità assoluta e ai capricci autoritari dei Mercati.
Allora la Meloni, oltre a tutta la paccottiglia di Atreju (ci scusino l’autore della “Storia infinita” Michael Ende che era un convinto antifascista e anche il povero Tolkien stupidamente politicizzati dall’estrema destra italiana) – paccottiglia utile dicevamo in qualche modo a creare un mondo fantastico dove potersi rifugiare via dalla realtà di un mondo occidentale (e non solo) sempre più democratico, e che aveva nettamente rigettato il fascismo, ha visto dunque la Meloni in Orban e soprattutto in Trump, e nella partecipazione al CPAC americano, la componente di estrema destra del partito repubblicano, l’occasione per trovare un’identità conservatrice forte, capace di ingaggiarsi in battaglie identitarie e culturali (evitando accuratamente di parlare di questioni economiche e sociali dove non si distingue dal mainstream neoliberale) che fosse trainante alle elezioni. E sicuramente lo è. Perché il fascismo di ieri è inservibile, con le sue marcette e i suoi orbaci, il fascismo di oggi è l’internazionale sovranista (*) guidata dai Trump e dai Boris Johnson a occidente, e dagli Orban e dai Putin coi suoi ideologi come Dugin a est (le cui idee ispirate a Evola hanno avuto molto successo nella destra e fra i “sovranisti” europei). Trump in particolare si è dimostrato particolarmente pericoloso, un vero e proprio genio del male, capace di inventarsi un buffo tentativo di colpo di stato guidato da un tizio con un palco di corna sulla testa ma efficace e quasi riuscito, dove sono morte molte persone per arma da fuoco, è il caso di ricordarlo, il 6 gennaio 2021 in un paese che sembrava del tutto immune da simili tentazioni o derive.
Il problema è che la Giorgia nazionale vorrebbe, anelerebbe a questa dimensione luciferina trumpiana, ma non è. Non è all’altezza. E’ piccina. Il golpe lo fa Trump capace di unire gli ultra-miliardari alla classe operaia abbandonata dai dem. Non la classe media o benestante che sostiene la Meloni (nell’ambito del centrodestra gli operai votano tuttora di più la Lega che non Berlusconi o FdI). Siamo quindi al più classico dei vorrei ma non posso. Come è piccino Salvini che vorrebbe anche lui, ma più che altro si atteggia, e finisce per collezionare sberleffi come quando in Polonia fu cacciato e deriso dal sindaco di Przemysl, Wojciech Bukan, che gli rinfacciava la t-shirt di Putin indossata da Salvini nei suoi tragicomici selfie sulla Piazza Rossa. La natura di Giorgia Meloni è quella di una ultra-destra parolaia, ma con poca sostanza nel concreto. Già la Le Pen in Francia, che ha la stessa identica “fiamma” del postfascismo nel logo del partito, è poco più che una simpatica vitellona di provincia (in senso felliniano ça va sans dire) che due ore dopo avere perso le elezioni presidenziali del 2017 era già in discoteca a ballare per consolarsi della malasuerte. Come del resto è stato molto più pericoloso Berlusconi, quando era in forma, col suo tele-populismo padronale antesignano di Trump che non qualunque reduce o nostalgico della fiamma tricolore (oltretutto stiamo parlando dei figli e nipoti dei fondatori che qualche tentazione di golpe invece ce l’avevano avuta).
Inoltre la Meloni è pur sempre una post-fascista in un paese con una Costituzione saldamente antifascista, che ha garantito anche la rappresentanza del Movimento Sociale e della destra (come dice Corrado Guzzanti: è facile essere fascisti in un paese democratico, provate a essere democratici in un paese fascista!) e dove una vasta maggioranza degli italiani è antifascista (anche se magari non condivide l’uso strumentale che la sinistra ufficiale ha fatto e fa tuttora dell’antifascismo, fino a banalizzarlo, ma di questo parleremo eventualmente un’altra volta).
Naturalmente ci sono gravi rischi di altro tipo, concernenti alcuni diritti civili importanti, come quello all’aborto (su cui occorrerà vigilare), il trattamento umano verso i migranti, ecc. Mentre per quanto riguarda menare gli studenti in piazza e mandarli a morire sul lavoro non sicuro e non pagato, questa è una specialità del PD il cui record è difficile da eguagliare anche da parte della destra. Sicuramente occorrerà da parte del parlamento e della società civile un controllo attento. Ma per quanto riguarda i diritti sociali ed economici, non vi è praticamente nessuna differenza coi governi del PD, a parte il tentativo del PD di riverniciarsi di “rosso” a 15 giorni dalle elezioni a cui però ovviamente nessuno più crede. Tanto che la famosa “agenda Draghi” smarrita dai poveri Letta e Calenda è stata miracolosamente ritrovata proprio da Giorgia!
Ma i rischi della “fiamma” sono invece legati al danno di immagine e dunque sostanziale che l’Italia e il governo italiano – a guida auspicabilmente di Giorgia Meloni che ha il diritto-dovere di governare dopo l’esito elettorale a lei favorevole – stanno già incontrando e incontreranno nel contesto internazionale dove se si vuole recuperare peso e posizioni, occorre essere credibili se si vuole perseguire l’interesse nazionale: lo slogan preferito di Giorgia, che però non ha la benché minima idea su come attuarlo né programmi credibili di re-industrializzazione del paese ed è già costretta ad affidarsi ai magheggi finanziari di lord Draghi.
L’imbarazzante fiamma del movimento sociale dei nostalgici di Salò che ha origine, ormai lo sanno in tutto il mondo, dall’ideale braciere perenne che arde, esotericamente e lugubremente, sulla tomba del Duce a Predappio non è un bel biglietto da visita nella scena internazionale.
Questo è qualcosa che all’estero ci danneggia, siamo pur sempre il paese che il fascismo lo ha inventato ed esportato, e se vuole essere credibile Giorgia Meloni, se non vuole essere una sorvegliata speciale, con un governo destinato a non durare e a essere sostituito dall’ennesimo “tecnico” (il PD e Calenda non vedono l’ora) deve levare quel simbolo dal logo del partito. Questo stimolerebbe anche l’opposizione a uscire finalmente dal “teatrino della politica” e non limitarsi a facili attacchi strumentali, ma a inventarsi un reale percorso politico, democratico e partecipativo che porti prima o dopo a una credibile alternativa di governo. Capisco che non puoi fare un congresso della destra nazionale mentre stai pensando a formare il governo, con gli alleati che ti ritrovi, sei terrorizzata dalla situazione dei conti pubblici, devi affrontare una guerra in corso e una recessione in arrivo. Ma per quanto mi riguarda sono generoso e mi accontento di un annuncio, un intervista, ecc. che avrebbe già il suo effetto salutare nel dimostrare un minimo di serietà di intenti. Vuoi difendere l’interesse nazionale? Bene comincia col renderti presentabile, o fare almeno lo sforzo di dimostrarlo.
(*) sovranista a parere di chi scrive è chi prende sul serio (in alcuni casi troppo sul serio) le inapplicabili teorie sovraniste, che all’inizio erano una provocazione intellettuale da parte di alcuni economisti e giuristi che volevano sottolineare la scarsa legittimità di determinate istituzioni sovranazionali; e una furba e pericolosa frode da parte di altre menti diaboliche (la premiata ditta Bannon-Trump col loro emulo Bolsonaro).
(**) La rappresentazione del Duce come “grande nocchiero” è del futurista Thayaht. Che a differenza del Duce, ha fatto realmente anche cose buone, per esempio è il geniale inventore della tuta insieme al fratello Ram (nomi d’arte di Ernesto e Ruggero Michahelles).
da: www.cittafutura.al.it –