Sergio Negri ha ricordato Fausto Vigevani in questa intervista curata da Alessandro Mauriello e pubblicata sul sito di “Tempi Moderni” il 24 marzo 2020
Dott. Negri, lei è una figura poliedrica: sindacalista, giornalista e scrittore nonché docente presso Università di Torino su temi importanti come il mobbing. Ci può descrivere il suo percorso sindacale in relazione alla figura di Fausto Vigevani?
Ho conosciuto Fausto Vigevani a Novara nel lontano 1968, quando fu eletto Segretario Generale della Camera del Lavoro provinciale. Noi eravamo un gruppo di studenti al Liceo, agli albori di quello che sarà ricordato come l’anno della contestazione giovanile. Vigevani, di prima mattina, dopo aver accompagnato le figlie a scuola, rimaneva in auto, una Fiat cinquecento, a leggere i giornali e ad aspettare che giungesse qualcuno ad aprire la sede del sindacato.
Lo incontravamo ogni mattina e in quelle occasioni nascevano spesso confronti vivaci. Lui però era di gran lunga più bravo di noi. Argomentava condizioni e circostanze, comprovava decisioni e comportamenti, mentre noi ripetevamo con quell’accumulo di arroganza giovanile, caratteristica di quegli anni, i nostri slogan ancora confusi e immaturi.
Trascorsero gli anni e imparammo a conoscere Fausto Vigevani e ad apprezzare la sua onestà, la sua coerenza, a condividerne le idee (io mi sono iscritto al PSI grazie a lui), ad ammirare il suo lavoro. Così molti di noi iniziarono a occuparsi di sindacatoe a iniziare il loro percorso alla Cgil.
Più nello specifico, quali sono state le innovazioni e le grandi battaglie di Fausto, narrate nei suoi due libri editi da Ediesse ?
Fausto Vigevani fu un innovatore straordinario. A Novara costituì un gruppo di specialisti scelti fra medici, sociologi e psicologi, come il Prof. Ivar Oddone, docente di psicologia del Lavoro all’Università di Torino, che mise a punto un questionario da distribuire in tutti i luoghi di lavoro che avrebbe rivelato la vera condizione di lavoro e di salute di ogni singolo lavoratore. Il gruppo di medici aveva inoltre il compito di analizzarne i risultati e di individuare le possibili cause che avevano provocato patologie o condizioni di malessere nei luoghi di lavoro. I questionari, infatti, avevano dimostrato che era necessaria e urgente una forte iniziativa sindacale per migliorare le condizioni dei lavoratori e superare i fattori di rischio e le nocività nei luoghi di lavoro.
Un altro campo di intervento nel quale Fausto Vigevani fu precursore riguarda l’unità del sindacato. In quel tempo Cgil, Cisl e Uil avevano realizzato un patto federativo che puntava, pur mantenendole e salvandole in prospettiva, a favorire e sviluppare la partecipazione democratica dei lavoratori alla vita e alle decisioni delle confederazioni.
“ A Novara, grazie a Fausto, afferma Ferruccio Danini, con lui in Segreteria, eravamo giunti a un livello molto alto dell’elaborazione e della realizzazione del sindacato unitario, perché insieme alla creazione, in tutti i luoghi di lavoro, dei Consigli di fabbrica, avevamo anche elaborato un progetto di costruzione dei Consigli di zona che prevedeva un criterio di composizione molto differente da quello adottato da altre città e da altre regioni.
“ I Consigli di fabbrica contrattavano un modello di organizzazione dellavoro diverso da quello grossolanamente tayloristico adottato in molti luoghi di lavoro e il Consiglio di zona interveniva per chiedere ai comuni modifiche al piano regolatore, interventi a favore della crescita dei servizi sociali, dagli asili nido territoriali alle tariffe agevolate sui trasporti pubblici, dall’assistenza per le persone disabili, alle scuole, prevedendo una quota di finanziamento (salario sociale) da parte dell’impresa e dei lavoratori che erano presenti sul territorio”.
E poi Fausto Vigevani fu impegnato sempre in tutta la durata del suo impegno sindacale a costruire l’unità del sindacato. Lui ha sempre creduto molto nell’unità dei lavoratori, del sindacato e della sinistra. Non ci fu un solo atto nella suo lungo rapporto di militanza nel sindacato che non fosse improntato a costruire un’ipotesi di unità delle confederazioni che salvaguardasse, tuttavia, le loro identità. Un progetto al quale ha lavorato sempre fin dai tempi del suo primo incarico alla Camera del Lavoro di Piacenza.
Lei è autore di “Se 8 ore”, un romanzo sindacale. Ci può dare un quadro più completo del romanzo?
Sì fra gli altri ho scritto anche un libro (Se 8 Ore, Edizioni Effedì) sulla conquista delle 8 ore nel lontano 1906 da parte delle mondariso vercellesi. Quell’accordo ha segnato la fine di un sistema ancora feudale, almeno nei rapporti di lavoro, un sistema ancorato ad un legame servile di lavoratori con gli agrari, ad un loro uso selvaggio, al loro sfruttamento senza limiti fino all’abbrutimento, come avviene ancora in alcune campagne del mezzogiorno, e scrive l’inizio dell’era moderna, nella quale, per la prima volta sono finalmente riconosciuti i diritti fondamentali e la dignità di chi lavora.
Questa straordinaria affermazione del principio umanista è ottenuta grazie a uomini di immenso valore come l’avv. Modesto Cugnolio, socialista e segretario regionale della Federbraccianti.
Uomini di assoluta grandezza che tuttavia non avrebbero ottenuto questi risultati senza l’esercito dei contadini e delle mondariso, senza il coraggio, la determinazione, la testardaggine di quelle donne che hanno sfidato per parecchi anni l’intemperanza di molti agrari, la prepotenza della regia cavalleria e spesso l’arroganza di una classe politica senza scrupoli.
Un risultato ottenuto con la tenacia, con la pazienza, con la forza che in certe occasioni solo le donne sanno avere.
Una conquista voluta, ricercata, costruita con determinazione, grazie anche ad una solida rete di relazioni, alla partecipazione dei contadini e delle mondariso ma anche a quella dei cittadini e dei lavoratori delle manifatture, dei cantieri, delle costruzioni.
Una moderna prova di democrazia, una straordinaria circostanza per migliaia di uomini e di donne per sentirsi protagonisti, per essere parte di un progetto ambizioso che offriva l’occasione per migliorare la loro qualità di vita e di lavoro.
Fu una battaglia di civiltà che raggiunse il più alto risultato mai conseguito in tutta Europa.
Forse anche oggi avremmo bisogno di un impegno straordinario come quello di allora, per cercare di offrire un futuro vantaggioso alle lavoratrici e ai lavoratori, ma soprattutto ai molti giovani che non hanno più un loro tempo di lavoro perché vivono nell’insicurezza e, spesso, nella rassegnazione.