Il sociologo intervistato da Luca Aterini per greenreport: «La creazione continua di debito spinge alla crescita illimitata, una follia»
In un mese la Borsa di Shanghai ha perso il 40%, nonostante i 200 miliardi immessi dal governo della Cina a sostegno delle Borse, e quelle mondiali hanno visto ridurre la capitalizzazione di circa 5mila miliardi di dollari. Vede il rischio che possa ripetersi la crisi del 2007/2008?
«Non si è fatto nulla di significativo per rimediare alle debolezze e alle magagne del sistema bancario dopo la crisi del 2007/2008, e a forza di non far nulla i problemi si ripropongono, stavolta a partire dalla Cina. Con la differenza che oggi in Cina le bolle sono oggi addirittura tre, non una: quella immobiliare, quella legata alla sopravvalutazione – slegata dai fondamentali economici – dei titoli azionari e obbligazionari, e quella relativa agli eccessivi investimenti portati avanti senza criteri oggettivi. Investimenti miliardari per aprire intere fabbriche, senza sapere poi bene cosa produrre e per chi. Queste tre bolle si sono oggi incrociate, e i loro effetti si stanno ripercuotendo ovunque sul mondo globalizzato. Paghiamo dazio per gli errori che abbiamo commesso».
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Di Francesco Somaini* – Il problema di rimettere in piedi – nel Regno Unito e non solo lì – una Sinistra che sappia dire e fare cose di Sinistra mi sembra tutt’altro che mal posto. Le critiche che Tony Blair ha rivolto a Jeremy Corbyn (1) nella sua lettera al “Guardian” accusandolo di condurre il Labour verso un abisso che lo potrebbe portare all’annientamento, mi sembrano per questo davvero male argomentate. La sola questione cui Blair sembra guardare è la possibilità di conseguire a breve dei buoni risultati elettorali, cosa che a suo avviso si può fare solo spostandosi clamorosamente verso il Centro e la Destra (come è accaduto appunto con il suo New Labour). Che un Labour che ritorni su posizioni credibilmente di Sinistra non abbia possibilità di ottenere importanti risultati elettorali è cosa tutta da dimostrare.
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di Renzo Penna – In una delle recenti interviste di Stefano Fassina ho ritrovato alcune delle motivazioni che, nel 2007, mi hanno convinto a non aderire al Partito Democratico. Iscritto ai Democratici di Sinistra dopo il congresso che si tenne a Torino nel febbraio 2000, l’anno seguente, in quello che si concluse a Pesaro, mi sono schierato, insieme a Fausto Vigevani e ai compagni dell’Associazione Labour, con la mozione “Per tornare a vincere”, quella del cosiddetto “correntone”, che per la segreteria opponeva Giovanni Berlinguer a Piero Fassino. Le ragioni che indussero l’Associazione Labour, composta in prevalenza da compagni di cultura e tradizione socialista “lombardiana”, a sostenere con uno specifico documento la candidatura di Berlinguer dipesero, tra l’altro, da una maggiore attenzione del suo programma: “al mondo del lavoro e alle trasformazioni sociali e culturali in atto e… ad una riflessione che sappia utilizzare anche le capacità del mercato senza subirne i limiti e senza i rischi di un ‘mercato’ della società civile, dei diritti fondamentali dell’istruzione, della salute, della sicurezza, della legalità”.
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di Luciano GALLINO, dal sito della FIOM Nazionale, 21 luglio 2015 – A otto anni di distanza dall’inizio della crisi economica in USA e in Europa, e a sei della sua fittizia trasformazione, per mano delle istituzioni e dei governi UE, da crisi del sistema finanziario privato a crisi del debito pubblico, l’Italia si ritrova con un governo che da un lato è allineato con le posizioni più regressive della Troika (la quale forma di fatto una quadriglia con Berlino); dall’altro non ha evidentemente la minima idea circa le cause reali della crisi, e meno che mai delle strade da provare o da costruire per uscirne. Il gioco dei numeretti che i suoi ministri fanno circa la ripresa o l’occupazione, con la risonanza che vi danno quasi tutti i media, senza che questi tradiscano mai da parte loro un’ombra di spirito critico, appare penoso. In realtà la situazione del paese è drammatica, e l’inanità dilettantesca del governo non fa che peggiorarla. L’Italia ha bisogno urgente di un altro governo che abbia compreso le cause strutturali della crisi quale si presenta in Italia, nel quadro della crisi europea, e possegga per conto suo e sappia mobilitare nel paese le competenze per superarle. È una missione impossibile, è vero, ma è meglio immaginare l’impossibile che darsi alla disperazione.
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“L’Europa è un deserto dove comanda il potere dei creditori” (su La Repubblica del 28 luglio 2015) – Si parla di fallimento dello Stato come di cosa ovvia. Oggi, è “quasi” toccato ai Greci, domani chissà. È un concetto sconvolgente, che contraddice le categorie del diritto pubblico formatesi intorno all’idea dello Stato. Esso poteva contrarre debiti che doveva onorare. Ma poteva farlo secondo la sostenibilità dei suoi conti. Non era un contraente come tutti gli altri. Incorreva, sì, in crisi finanziarie che lo mettevano in difficoltà. Ma aveva, per definizione, il diritto all’ultima parola. Poteva, ad esempio, aumentare il prelievo fiscale, ridurre o “consolidare” il debito, oppure stampare carta moneta: la zecca era organo vitale dello Stato, tanto quanto l’esercito. Come tutte le costruzioni umane, anche questa poteva disintegrarsi e venire alla fine. Era il “dio in terra”, ma pur sempre un “dio mortale”, secondo l’espressione di Thomas Hobbes. Tuttavia, le ragioni della sua morte erano tutte di diritto pubblico: lotte intestine, o sconfitte in guerra. Non erano ragioni di diritto commerciale, cioè di diritto privato.
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Associazione LABOUR R. Lombardi – "Per una società di liberi e eguali"