Un “no” motivato al nucleare in Piemonte
10 luglio 2008
di Renzo Penna
Il Governo sembra intenzionato a tornare al nucleare, quello tradizionale, costoso, vecchio nella tecnologia e a rischio di incidente, come quello recente avvenuto nella centrale Krsko, in Slovenia, che pur essendo stato di livello minore (cosi garantiscono) ha suscitato allarme nella popolazione.
Per noi in Piemonte e in provincia di Alessandria è come tornare indietro nel tempo. Correva il 1984 e la Regionedoveva decidere tra due siti in competizione per ospitare la nuova centrale atomica: Po1 e Po2, il primo a Trino, in provincia di Vercelli, e il secondo tra i comuni di Alluvioni Cambiò e Isola S.Antonio nella bassa Valle Scrivia. Entrambi in zone ricche d’acqua necessaria per raffreddare in continuazione il cuore dell’impianto, in questo caso quello di una centrale importante, da due gruppi da mille megawatt.
In quel periodo, nelle istituzioni e tra la popolazione, a prevalere non era la paura per l’incidente o i rischi per una contaminazione radioattiva, ma l’attesa per i benefici economici e per le ricadute indotte legate alla nuova occupazione. Nella nostra zona si formò, comunque, un comitato che propose il referendum tra i cittadini, e qualche lagnanza c’era anche tra gli agricoltori, ma destinata, quest’ultima, ad essere superata da adeguate compensazioni economiche per i terreni da espropriare.
D’altronde il nucleare in Italia era iniziato venti anni prima, in pieno boom economico, e proprio a Trino era sorta la Enrico Fermi, la centrale più potente, che con i suoi quasi 270 Megawatt pareggiava quelle di Latina e del Garigliano, messe assieme.
Caorso, tre volte più potente di Trino (860 MW) sarà realizzata solo quindici anni dopo, nel ‘78.
Sino allora nel nucleare realizzato tutto era filato liscio, o quasi. Nel marzo del ’79 in Pennsylvania nella centrale di Three Mile Island si era, infatti, verificato un incidente molto serio, ma i sistemi di sicurezza avevano evitato il peggio e non vi erano state conseguenze gravi sulle persone. Le cose, almeno nel nostro paese, muteranno radicalmente con il disastro di Cernobyl (26/4/86) che portò al referendum del novembre 1987 il quale, con una netta prevalenza dei “si”, pose fine al nucleare italiano.
Ma torniamo all’84, la Valutazione d’Impatto Ambientale della Regione, si stava orientando per Trino, considerato il sito migliore, già sperimentato per il nucleare e ciò, nell’alessandrino, azzerava le aspettative che si erano create attorno alla costruzione della centrale. Allora azzardai – ero Segretario della Camera del Lavoro – una provocazione: una proposta di “scambio” tra la Centralenucleare e l’Università, rivendicando per Alessandria la seconda Università del Piemonte. Quell’intervento fece discutere, provocò qualche polemica e fu giudicato intempestivo da chi non voleva rassegnarsi alla “perdita” del nucleare, ma ripropose come centrale il tema dell’Università per la nostra provincia.
Quattordici anni dopo, alla Camera dei Deputati, ebbi la possibilità di battermi per concretizzare quel progetto e realizzare la “conquista” dell’autonomia dell’Università del Piemonte Orientale che, nel frattempo, era diventata tripolare includendo, con Alessandria e Novara, la stessa Vercelli come sede del Rettorato. Come si sa la centrale a Trino, bloccata dal referendum, non è più stata costruita e a Leri, sui terreni della tenuta che fu del conte Cavour, in prossimità dell’omonimo canale dove nell’86 il Consiglio Comunale in modo unanime ne decise l’ubicazione, si fece appena in tempo ad eseguire le fognature.
E adesso che si fa, torniamo a Po1 e a Po2?
Personalmente condivido, per il Piemonte, l’indirizzo della Giunta Regionale. Sia il giudizio sul nucleare tradizionale, la cui tecnologia richiederebbe 8-10 anni di lavoro per costruire una nuova centrale e si basa su un combustibile, l’uranio, in via d’esaurimento, così come sulla necessità di investire nella ricerca per una modalità più sicura – il cosiddetto nucleare “pulito” – in grado di risolvere il problema delle scorie e la stretta connessione tra nucleare civile e militare, ma è la pesante e tuttora presente eredità del nucleare nella nostra regione e il mutamento del clima in atto che lo rende improponibile.
A Saluggia, nel vercellese, solo qualche settimana fa, con la Dora Baltea in piena, si è tornati a rivivere la paura del 2000, quando il fiume entrò nell’area e lambì il deposito nucleare della Eurex, rischiando di trascinare in Po le scorie liquide di plutonio e uranio, causando un danno irreparabile. Il premio nobel Carlo Rubbia allora disse che, per la posizione del deposito, si era “sfiorata una catastrofe planetaria”.
In questi anni sono state realizzate costose opere di difesa del sito, ma si è anche verificata una perdita di materiale radioattivo dalla piscina che conteneva le barre irraggiate nelle centrali italiane, perdita che sta inquinando le falde superficiali di una zona, ai confini con le province di Alessandria, Asti e Torino, nelle cui vicinanze sono presenti i pozzi dell’Acquedotto del Monferrato che fornisce oltre centomila famiglie. Vi è, infine, nella regione Piemonte una impossibilità tecnica per la localizzazione di una centrale nucleare.
Da un lato per la carenza d’acqua nei fiumi, cresciuta con il cambiamento del clima e la minore piovosità, ma indispensabile al funzionamento della centrale e, dall’altro, per le conseguenze che un incidente, sempre possibile e insito in una centrale situata sul Po, avrebbe nei confronti di un territorio, la Pianura Padana, tra le più urbanizzate e popolate al mondo.
Molto meglio allora fronteggiare i costi crescenti e il futuro incerto delle fonti energetiche fossili – petrolio, gas e carbone – lavorando allo sviluppo delle diverse fonti energetiche rinnovabili, in particolare l’energia solare, e operando, da subito, per ridurre i consumi, facendo dell’efficienza e del risparmio energetico la prima delle fonti rinnovabili, capace di rappresentare un quarto (il 25%) dell’energia oggi necessaria alla Regione e al Paese.