IL MIO RICORDO DI FAUSTO VIGEVANI
di Renzo Penna – 10 marzo 2021
Chi per primo mi ha parlato di Fausto Vigevani è stato, nei primissimi anni ’80, Guglielmo Cavalli, Segretario responsabile della Camera del Lavoro di Alessandria, socialista, la persona che più si è adoperata per favorire il mio impegno, a tempo pieno, nel sindacato.
Cavalli di Vigevani apprezzava, in particolare, le sue declinazioni del tema dell’unità: l’unità interna alla CGIL, quella dei soggetti presenti nel mondo del lavoro, l’unità sindacale e quella della sinistra. Fausto, quando nel novembre ’81 entra a far parte della segreteria Confederale, ha alle spalle otto anni nella categoria dei chimici, di cui gli ultimi quattro da Segretario generale.
Anni nei quali aveva maturato alcune convinzioni di fondo: di fronte ai profondi processi di cambiamento in atto nell’economia e nell’attività produttiva, il sindacato doveva confrontarsi con chiarezza e realismo, non per subirli, ma per fronteggiarli in stretto rapporto con i lavoratori e con le loro esigenze, prima fra tutte quella di ricomporre un mondo del lavoro che aveva subito pericolose lacerazioni.
Una strategia molto differente da quella portata avanti dalla maggiore categoria dell’industria, quella dei metalmeccanici, che aveva portato al durissimo scontro con la Fiat e, dopo la lotta dei “35 giorni”, alla sconfitta dell’autunno ’80. Strategia, quella condotta dai chimici, favorita, va riconosciuto, da controparti meno indisponibili di Federmeccanica alle relazioni sindacali.
Avendo diretto dal ’76 all’83 la FLM in una realtà, la zona di Alessandria, fatta di piccole e medie imprese devo dire che, di fronte alla devastante crisi della seconda metà degli anni ’70, la pratica sindacale nelle ristrutturazioni era fatta da continui confronti e mediazioni con le imprese per cercare di salvare il più possibile, insieme al salario, i posti di lavoro. Quindi più vicina a quella sostenuta da Vigevani e tanto più diversa da quella teorizzata da un altro Fausto, Bertinotti.
Nell’intervento di Vigevani al X Congresso della CGIL (16-21 novembre ’81, Roma) i temi dell’unità sono centrali. Con alle spalle la “marcia dei 40 mila” che ha sancito la spaccatura tra operai, impiegati, quadri e pesantemente condizionato la conclusione della vertenza Fiat, occorre prendere atto che: “Per i quadri e i tecnici abbiamo sviluppato con ritardo riflessioni sulle nostre politiche rivendicative e retributive, che sono necessarie, ma non sufficienti. Se vogliamo avere con noi questi lavoratori non basta considerarli destinatari di politiche salariali. Essi devono diventare protagonisti, come gli altri lavoratori, di tutta la nostra politica e non solo di una parte di essa, e in primo luogo delle politiche sull’organizzazione del lavoro, sulle ristrutturazioni, sulla politica industriale e agricola, per non parlare di servizi e di pubblica amministrazione… Ci illudiamo, se pensiamo di conquistare questi lavoratori al sindacato solo con le politiche salariali. Dobbiamo sapere che il padrone avrà sempre cinquanta, cento, duecentomila lire in più da dare di quante ne possiamo chiedere noi”.[1]
Ma per Vigevani è il tema dell’unità sindacale la questione pregiudiziale a ogni discorso, a ogni obiettivo vero di cambiamento e di trasformazione. E siccome i rischi della divisione si stanno facendo concreti, per prevenirli: “E’ necessario un nuovo progetto di unità fondato sulla democrazia sindacale, sulla partecipazione, sulla più ampia dialettica del movimento. Per questo ritengo necessario istituzionalizzare unitariamente assemblee nazionali e regionali dei consigli di azienda e delle strutture unitarie di zona, per dare voce, potere, controllo a delegati e quadri che sono permanentemente tagliati fuori dai momenti decisivi, dalle scelte e dalle verifiche del movimento”. [2]
Per realizzare un nuovo progetto unitario è però indispensabile “l’unità della Cgil”. E temendo possibili rotture che, come sappiamo, capiteranno, avverte: “Una Cgil divisa non serve a nessuno. Non serve ai lavoratori, non serve alle forze democratiche e progressiste, non serve al paese; ma una Cgil che non riproponesse tutto il suo peso, la sua forza, la sua storia per l’unità del movimento, non reggerebbe alla prova, si esporrebbe a nuovi e vecchi condizionamenti, più pesanti e preoccupanti che mai… Alcuni compagni affermano che l’unità si fa sui contenuti. Chiedo allora a questi compagni: qual è il contenuto, l’obiettivo che si può definire e conquistare se non c’è l’unità, se no conquistiamo oggi questa unità?”.[3]
Sia negli anni in cui ho avuto la responsabilità della Camera del Lavoro di Alessandria (1983-’86) che nei successivi dieci anni, quando ho fatto parte della segreteria regionale Cgil del Piemonte, gli interventi e il lavoro di Vigevani nella Segreteria Confederale della Cgil (1981-’91) sono stati un costante punto di riferimento. La vertenza sul fisco, il suo impegno per la riforma degli istituti del welfare (previdenza, scuola, sanità) e la continua ricerca e studio sui temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. A quest’ultimo proposito si deve a Vigevani la valorizzazione della “vertenza Eternit” della Camera del Lavoro di Casale Monferrato (AL) che ha prodotto nel ’92 una legge molto avanzata in tema di lotta all’amianto.
Fausto nell’84, quando sul tema della scala mobile si è consumata la rottura, non solo con Cisl e Uil, ma anche all’interno della Cgil, è stato determinante nel difendere, insieme, le ragioni dei socialisti Cgil e l’unità dell’organizzazione. Prima impedendo a Ottaviano Del Turco di firmare l’accordo separato con Cisl e Uil e poi girando l’Italia a supportare i compagni che vivevano con difficoltà la divisione. Permettendo così a Luciano Lama di operare per recuperare l’unità della Cgil.
Ero a Firenze nel settembre 1989 alla Conferenza di Organizzazione quando Vigevani ha svolto uno dei suoi discorsi più belli. Il clima si prestava a valutazioni politiche nuove, a Berlino, da li a poco, sarebbe caduto il muro, i paesi dell’Europa dell’Est erano in fermento e, in Italia, il Partito comunista si apprestava a cambiare nome e simbolo. E Fausto interpreta quel clima per parlare alla sinistra e assegnare alla Cgil un nuovo compito, quello di un soggetto politico autonomo, un punto di riferimento dei progressisti nella stagione che si sta aprendo. Un intervento breve e appassionato che nella parte finale descrive come lui vorrebbe fosse la Cgil: “Un sindacato generale, cioè non subalterno, non corporativo, non residuale; forte perché si radica nei luoghi di lavoro, perché assume il lavoro e il Sud come questione generale; forte perché si arricchisce dei valori delle differenze; forte e ricco di molti colori e di molte etnie; forte perché si impegna senza remore a offrire una prospettiva e una speranza a uomini e donne che questa società tende ad escludere. Insomma, una Cgil unita perché autonoma, autonoma perché unita, unita e autonoma perché profondamente democratica”.[4]
Sempre nell’89, il 18 ottobre, la Camera del Lavoro di Alessandria organizza un incontro pubblico presso la sala del Consiglio comunale per ricordare, nel ventennale della scomparsa, la figura di Fernando Santi. “Lezione di modernità” il titolo dell’iniziativa alla quale partecipa Vigevani insieme a Vittorio Foa. Entrambi i loro interventi, tutti da leggere, si trovano sul “Progetto”, il periodico del Circolo “Fernando Santi” del Piemonte (anno V, maggio 1990), mentre quello di Fausto è anche riportato in appendice al secondo volume che l’associazione Labour “R. Lombardi” gli ha dedicato.[5]
Nel ’92, in presenza degli accadimenti che coinvolgono personaggi pubblici e dirigenti socialisti in episodi di corruzione, i compagni della Cgil che, con Vigevani, fanno parte della sinistra socialista decidono di dimettersi dal Partito socialista, seguendo una analoga presa di posizione di Giorgio Ruffolo. Come conseguenza, nell’ottobre del ’93, a Bologna, gli stessi compagni costituiscono l’Associazione Labour “per una società di liberi e uguali”, e Mauro Beschi svolge la relazione.[6] Il proposito è quello di “favorire una cultura del cambiamento in grado di concorrere alla costituzione di un’alleanza progressista e di governo e di una nuova e più moderna pratica di tutela sociale”. Come recita lo statuto.
Per decisione di Bruno Trentin, che aveva sostituito Antonio Pizzinato al vertice della Cgil, Fausto Vigevani, nel ’91, era stato eletto Segretario generale della Fiom con Cesare Damiano suo vice. Il solo socialista, con Bruno Buozzi, ad aver guidato i metalmeccanici (a dire il vero al vertice della Fiom, dal 1962 al ’68, c’è stato un altro socialista, Piero Boni, che con Bruno Trentin ha condiviso la Segreteria generale della categoria). In una fase piuttosto complessa della categoria e caratterizzata da divisioni nel gruppo dirigente. Personalmente continuo, però, a ritenere che Vigevani avrebbe meritato, per le sue capacità e il suo ineccepibile percorso nella Cgil, l’elezione a Segretario Generale aggiunto dell’organizzazione.
Come è noto nel ’94 Fausto viene candidato alle politiche tra i progressisti nel collegio di Salsomaggiore Terme (Fidenza-Parma) ed è eletto al Senato. Nel ’96 viene riconfermato, questa volta nella coalizione dell’Ulivo, e nominato Sottosegretario alle Finanze nel governo Prodi e nel primo governo D’Alema. Essendo stato eletto nel ’96 alla Camera, sono stati questi gli anni nei quali ho avuto più rapporti con Vigevani il quale, va detto, nel passaggio dal sindacato all’impegno nella politica e nel governo non ha mutato in nulla il suo rigore, la sua determinazione e il suo pensiero. Nonostante fosse molto occupato, Fausto non mancava mai alle riunioni dell’Associazione dove, con Sergio Ferrari, Mauro Beschi, Renato Matteucci, Remo Ferrero, Sergio Vannozzi e un gruppo di giovani si dibatteva l’attualità della politica e si programmavano le iniziative di Labour. In quel periodo ho condiviso con Vigevani numerose iniziative di assoluto livello che hanno, per me, rappresentato momenti di formazione e di crescita. Ne ricordo un paio, entrambe tenutesi nella mia città. Il 10 settembre ’99, nel corso di un dibattito alla festa provinciale dell’Unità, un incontro-confronto tra Fausto e Massimo L. Salvadori sul tema “Sinistra: l’anima è socialista?”.
Il secondo, il 3 febbraio 2001, in un convegno promosso dai Ds e Labour dedicato al “Bilancio di una legislatura: economia, società, impresa” con, insieme a Vigevani, l’onorevole Giorgio Benvenuto, presidente della Commissione Finanze della Camera.
Negli ultimi anni della legislatura, per iniziativa di Vigevani, si formò, tra Camera e Senato, un gruppo di parlamentari socialisti, aderenti ai DS, che produsse iniziative ed elaborò documenti. Il più significativo dei quali “Riflessione sulla situazione politica” è del giugno 2000. Il testo, elaborato da Fausto, è stato condiviso dai parlamentari che costituivano il gruppo e contiene analisi che ritengo tutt’ora del tutto attuali.
Riporto, a titolo di esempio, una sintesi del capitolo “Parliamo ancora del riformismo”: “C’è un’idea che concepisce il riformismo come azione politica e amministrativa, mentre il riformismo è prima di tutto senso e valore del cambiamento. E’ da questa idea sbagliata di riformismo che spesso derivano subalternità culturali e politiche al pensiero e alle politiche neo-liberiste… Il riformismo è debole, perché debole e incostante è il suo collegarsi ai valori. Ma ciò indebolisce la politica, la rende estranea, lontana, autoreferenziale. Da questa idea della politica… traggono origine il disinteresse se non l’ostilità da parte dei cittadini e l’astensionismo crescente degli elettori… La risposta del riformismo non può essere quella che rinuncia a competere sui punti alti della innovazione tecnologica di processo e di prodotto, che abbassa il livello e la qualità della protezione sociale, dislocando la specializzazione produttiva del nostro paese solo nei campi in cui è esposta alla concorrenza dei paesi in via di sviluppo i cui costi sono 10-20-50 volte inferiori a quelli nazionali ed europei. Questo è ciò che vogliono la destra italiana, le punte più conservatrici della Confindustria, la Banca d’Italia, il Fondo Monetario Internazionale, che puntano ad accrescere la precarietà del lavoro e a ridimensionare i sistemi di protezione sociale”.[7]
Concludo questo personale ricordo di Fausto Vigevani con un episodio minore, ma che bene ne rappresenta il carattere e la figura. Come Sottosegretario alle Finanze Fausto aveva in programma una visita agli uffici finanziari di Alessandria. Arrivò per tempo in treno e, con la mia auto, ci recammo all’incontro. Su consiglio di Fausto parcheggiammo qualche centinaio di metri dalla sede e ci incamminammo a piedi. Ho ancora presente lo stupore dei dirigenti che, aspettando l’arrivo del Sottosegretario immaginato con l’immancabile auto blu, ci videro arrivare a piedi.
Renzo Penna
Alessandria, 10 marzo 2021
[1] Dall’intervento di Fausto Vigevani al X Congresso della Cgil, novembre 1981, che si trova in “F. Vigevani la passione, il coraggio di un socialista scomodo” – P. Cascella, G. Lauzi, S. Negri, Ediesse 2004
[2] Ibid
[3] Ibid
[4] Dall’intervento di Fausto Vigevani alla Conferenza di Organizzazione Cgil, Firenze settembre 1989, che si trova in “F. Vigevani la passione, il coraggio di un socialista scomodo” – P. Cascella, G. Lauzi, S. Negri, Ediesse 2004
[5] E.Montali, S. Negri: “Fausto Vigevani, Il sindacato, la politica” – Ediesse, 2014
[6] Mauro Beschi: “Qualche idea per cominciare” – Bologna, 30 ottobre 1993 www.labour.it
[7] Il documento “Riflessioni sulla situazione politica”, Giugno 2000 è riportato in appendice al volume: “F. Vigevani la passione, il coraggio di un socialista scomodo” – P. Cascella, G. Lauzi, S. Negri, Ediesse 2004