di Sergio Ferrari
Roma, 26 giugno 2008
Sono storicamente frequenti gli studi che partendo dalla constatazione degli aumenti demografici, dalla conseguente crescita nell’utilizzo delle risorse naturali e dalla finitezza di queste risorse, si sono esercitati in previsioni circa le possibilità di sopravvivenza per l’umanità intera.
Già alla fine del ‘700 il contrasto tra la crescita della popolazione e l’ammontare della terra necessaria per il suo mantenimento si sarebbe risolto, secondo Malthus e poi anche secondo John Stuart Mill, in una condizione di reddito di pura sussistenza per la classe dei lavoratori sino ad incidere sugli andamenti demografici per poter recuperare un qualche riequilibrio. Le preoccupazioni di Malthus si rilevarono errate e i timori per l’esaurimento delle risorse si rivolsero verso altri aspetti. A metà del 1800, ad esempio, in pieno sviluppo della rivoluzione industriale, un altro grande economista, W.S. Jevons, fece notare come i costi inevitabilmente crescenti dell’estrazione del carbone minacciavano in maniera preoccupante l’industria britannica e che quindi essendo inimmaginabile la disponibilità di sostituti, le felici condizioni di progresso di quel periodo avevano davanti un futuro limitato. Una preoccupazione che si sarebbe riproposta anche negli Stato Uniti alla fine dell’ottocento. Sino al più recente Rapporto Meadows del 1972 secondo il quale un declino catastrofico per l’umanità era prevedibile nell’arco di un secolo.
Lungo questa linea si colloca più recentemente la posizione di un altro economista, Nicholas Georgescu-Roegen, capostipite di una concezione che con coerenza critica il concetto dello sviluppo sostenibile in quanto comunque connesso ad un pur “sostenibile” sviluppo, considerato invece irrealizzabile, e che indica la strada della decrescita non come soluzione alternativa alla crisi finale ma come unico comportamento responsabile verso le generazioni future, comunque condannate in quanto è scientificamente ineluttabile l’esaurimento delle risorse naturali in genere e di quelle energetiche, in particolare.
La novità nelle argomentazioni di Georgescu rispetto ai precedenti autori sta nel richiamo a una legge scientifica che dovrebbe eliminare quei margini di aleatorietà impliciti in ogni previsione ancorché apparentemente logica e coerente. Questa base scientifica è rappresentata dal secondo principio della termodinamica che per gli aspetti che interessano il tema in questione potrebbe essere espresso nei seguenti termini: in ogni processo la qualità dell’energia (cioè la possibilità che l’energia possa essere ancora utilizzata da qualcun altro) è sempre peggiore rispetto all’inizio, quindi ogni trasformazione materiale implica la perdita irreversibile di una parte dell’energia impiegata. Avendo a loro volta le fonti di energia fossile una dimensione finita ne consegue che lo sviluppo economico cosi come da sempre lo conosciamo, non può essere proiettato indefinitamente nel tempo.
E’ evidente che nessuna teoria economica può contraddire le certezze di una legge scientifica e quindi poiché le risorse energetiche naturali sono finite e, in base al II Principio della termodinamica, subiscono un degrado parziale ma irreversibile, non è possibile qualunque ipotesi di sviluppo economico basato sull’uso di risorse naturali e tanto meno sulla crescita dei consumi di prodotti energetici. Qualsiasi processo economico che produce merci materiali diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altre merci.
Non è quindi possibile alcuno scenario di progresso essendo discutibili solo le scadenze della crisi finale in funzione dell’andamento della demografia, dei consumi pro-capite e delle tecnologie di produzione e di consumo. Naturalmente non è indifferente sapere se tale ineluttabilità riguarda un orizzonte di tempo in qualche misura limitato oppure se si tratta di una prospettiva “teorica” indefinita nel tempo. La stessa responsabilità morale che occorre manifestare verso le generazioni future diventa molto soggettiva se si allude ai secoli, piuttosto che ai millenni o alle ere geologiche. Ma tutto questo non modifica l’ineluttabilità individuata precedentemente.
Il riferimento al secondo principio della termodinamica rende, secondo questa scuola, indiscutibili le previsioni negative e marginali gli eventuali ripieghi escogitati dall’uomo per superarle. E questo vincolo energetico si riflette anche sulla disponibilità delle altre risorse materiali: una volta disperse nell’ambiente le materie prime precedentemente concentrate in giacimenti nel sottosuolo, possono essere reimpiegate o riciclate nel sistema economico solo in misura molto parziale al prezzo di un alto dispendio di energia. (pag. 107, 142 )[1]. Quindi anche queste risorse materiali, oltre a quelle energetiche, sono destinate all’esaurimento. In questo caso ovviamente si ipotizza che la terra sia un sistema chiuso cioè un sistema che ammette la possibilità di un passaggio ai propri confini di energia ma non di massa.
A questo punto e con le conoscenze oggi disponibili, due sono le possibilità teoriche di modificare queste conclusioni negative. Da un lato chiamare in causa un’altra legge scientifica e in particolare l’equazione di Einstein sul rapporto tra massa ed energia – la ben nota E = mC2 – e dall’altra ricordare che ci si riferisce ad un sistema chiuso che come tale consente lo scambio di energia ai propri confini. In definitiva prendere in considerazione i flussi di energia provenienti sulla terra da parte del sole.
Naturalmente l’esistenza di queste due possibilità non sfugge a Georgescu; pur tuttavia le conclusioni non sembrano modificarsi. Georgescu, infatti, esclude la possibilità di un uso efficace dell’energia solare ed esclude la possibilità che le fonti energetiche di origine nucleare siano realizzabili. Nel caso dell’energia da fissione nucleare l’impossibilità del suo utilizzo sembra consistere essenzialmente in una condizione di non accettazione sociale: “ Il reattore autofertilizzante che converte materiale fertile in combustibili fissili sarebbe un dono prometeico se la sua realizzazione pratica non fosse pregna di rischi e di ostacoli tecnici….” (pag. 181) . Per l’energia da fusione l’impossibilità deriva, sempre secondo Georgescu, dal fatto che “nessun contenitore materiale può resistere alla temperatura di reazione …” (pag.89). Per l’energia solare dal fatto che gli apparati per il recupero e l’utilizzo di questa energia richiedono più energia di quanta siano poi in grado di produrne durante l’arco della loro vita: “…attualmente è impossibile produrre collettori solari tramite la sola energia solare da essi accumulata e che quindi qualsiasi applicazione dei metodi esistenti basati sui collettori solari è parassitaria della tecnologia corrente.. “ (pag. 170).[1]
Anche l’esistenza di una equivalenza tra massa ed energia espressa dall’equazione di Einstein non modifica questa situazione ma anzi l’aggrava in quanto le diverse possibilità tecnologiche di “utilizzare” quella equazione, come si è visto, sono con varie motivazioni escluse, mentre il fatto che in nessuna parte dell’universo sia possibile trasformare l’energia in massa (V. pag. 137), trasferisce le ipotesi di esaurimento delle risorse energetiche anche alle risorse materiali in genere. Questa impossibilità converge, sempre secondo Georgescu, verso una prospettiva di esaurimento dei materiali necessari e quindi dell’impossibilità di una crescita economica indefinita dal momento che, come già affermato, “la materia non può essere completamente riciclata.”.
A questi vincoli alla crescita Georgescu tuttavia perviene, come si visto, attraverso delle considerazioni tecnologiche, non scientifiche. Naturalmente sono perfettamente legittime modellizzazioni, simulazioni e approssimazioni. Basta non dimenticarsene quando si devono tirare delle conclusioni. E in particolare occorre ricordare che la forza cogente del riferimento ad una legge scientifica non può essere trasferita automaticamente alle ipotesi e alle argomentazioni tecnologiche. Inoltre occorre sempre ricordare come le leggi della fisica proprio in quanto leggi generali, si riferiscono a modelli generali e non alle specifiche e variabili condizioni che si possono trovare nella realtà o anche in laboratorio. E questo non perché in queste condizioni particolari quelle leggi non valgano più ma perché le variazioni delle condizioni reali rispetto al modello generale implicano degli effetti che possono essere apparentemente contradditori con l’esistenza di quelle leggi: la legge della gravità non è smentita dall’esistenza di condizioni di assenza di gravità.
A parte le osservazioni critiche di merito alle specifiche argomentazioni tecnologiche diGeorgescu, alcune delle quali sin troppo evidenti, le osservazioni centrali e pregiudiziali sono “scientifiche” e si riferiscono ai tentativi di applicare un principio scientifico ad un contesto non coerente. Nel tentativo di precisare la differenza tra energia accessibile e energia disponibile e tra sistemi aperti, chiusi o sistemi isolati sembra alle volte che a R. sfuggano le connessioni: “Essendo l’entropia un indice dell’energia non disponibile in un sistema isolato, un’espressione equivalente della legge di entropia si traduce in questa popolare formulazione: Qualsiasi cosa si faccia, l’entropia di un dato sistema non può diminuire “ (pag. 217 ). Se non che essendo sparito il riferimento al sistema isolato il lettore “popolare” è autorizzato a pensare che questo sia vero sempre e qualunque sia il sistema di riferimento; e questo non è vero. In secondo luogo se si assume che la terra sia un sistema chiuso non ha fondamento scientifico assumere che lo scambio di energia che avviene ai suoi confini dia luogo ad una energia, quella solare, inutilizzabile.
Se si abbandona il rigore scientifico – operazione peraltro che può essere anche proposta e esaminata a titolo di studio – allora si entra nel campo delle dinamiche tecnologiche, delle valutazioni economiche, sociali, ecc., ecc., cioè in quel campo di valutazioni e argomentazioni che hanno caratterizzato tutte le precedenti previsioni. E, come si è visto, anche le argomentazioni di R non fanno eccezione. Non a caso è possibile rilevare come si ripropongano alcune posizioni che già hanno caratterizzato altre previsioni negative per il futuro dell’umanità e basate sul fatto che gli economisti – ma forse non solo loro – fanno una certa fatica a riconoscere che non è possibile ragionare a bocce ferme, cioè come se non facesse parte della storia la capacità dell’uomo di modificare le tecnologie e di crearne di nuove. Infatti sembrano valere anche per R. le osservazioni formulate in occasioni di analoghe previsioni e cioè che esistono difficoltà obiettive in questo campo derivanti dal fatto che si dispongono di informazioni relative alle tecnologie esistenti e poco più in là e per le quali l’unica certezza consiste nel fatto che sicuramente queste tecnologie non saranno quelle in uso nei tempi previsti. Naturalmente non si tratta di sposare ipotesi miracolistiche e tecnocratiche ma nemmeno commettere l’errore opposto.
Per la verità gli scritti di R non sempre appaiono cosi perentori. Se il riferimento a principi scientifici indiscussi non può concedere margini e gli scritti di Georgescu tendono a assumere gli apparenti vincoli tecnologici come altrettanto indiscutibili, tuttaviaGeorgescu per primo lascia aperte delle possibilità di scenari diversi: per quanto riguarda l’energia solare ad esempio “il quadro può essere radicalmente modificato dalla scoperta di metodi più efficienti.” , e “cercare tenacemente di scoprire metodi più efficienti non solo è legittimo, è imperativo;”.( pag. 172, 173). Quindi si deve trattare di metodi in linea di principio fattibili anche se “L’attesa potrebbe essere assai lunga prima che Prometeo III offra all’umanità la grande opportunità di una soluzione.”(pag. 224). “Il reattore autofertilizzante, che converte materiali fertili in combustibili fissili, sarebbe un terzo dono prometeico se la sua realizzazione pratica non fosse pregna di rischi addirittura maggiori e anche di ostacoli tecnici; “ (pag. 181). “ Finché l’uso diretto dell’energia solare non diventa un bene generale o non si ottiene la fusione controllata, ogni spreco di energia………dovrebbe essere attentamene evitato….”. (pag. 96). “Possiamo inoltre essere pressoché certi che, sotto la medesima pressione (della necessità), l’uomo scoprirà mezzi capaci di trasformare direttamente l’energia solare in forza motrice. E riguardo al problema entropico dell’uomo una scoperta del genere costituirà sicuramente la più grande delle conquiste possibili perché assoggetterà al suo controllo la fonte più abbondane dei mezzi necessari alla vita.”
In definitiva sembrerebbe che Georgescu più che una fine ineluttabile della civiltà umana, preconizzi delle gravi difficoltà e incertezze nella disponibilità delle risorse materiale e di quelle energetiche in primo luogo. In questa attesa si comprendono gli allarmi e le critiche alle soluzioni economiche, tecnologiche e sociali che trascurano quelle minacce e le sollecitazioni, anche drammatizzate, per tutte quelle proposte che consentano invece di allungare i tempi della attesa. Diventerebbe centrale, a questo punto, una analisi e una valutazione dei tempi necessari per arrivare a disporre di un nuovo Prometeo ma anche dei tempi di attesa ancora disponibili. Questo è un lavoro cheGeorgescu non affronta e sembra un compito che intende lasciare ad altri. Peraltro i tempi disponibili non sono solo quelli derivanti dalla valutazione dell’entità delle risorse energetiche naturali esistenti, quanto piuttosto quelli che definiscono questa disponibilità in relazione a costi di estrazione di queste risorse. Costi che, a loro volta, non hanno un andamento connesso in modo rigoroso con i prezzi di mercato. Per quanto riguarda la valutazione dei tempi necessari per disporre delle soluzioni offerte da un nuovo Prometeo alcuni, come è noto, sostengono che ci siamo già arrivati e che i problemi eventualmente aperti sono di ordine tecnologico e finanziario.
Poiché nella storia dell’uomo le certezze rappresentano dei desideri forti e diffusi, molti degli epigoni e dei seguaci di Georgescu hanno sposato il II Principio della termodinamica in termini di fede, evitando accuratamente le pur esistenti aperture tecnologiche espresse da Georgescu potendo cosi soprassedere anche ad una piena comprensione dello stesso Principio e al bagaglio culturale e dialettico di Georgescu. Così, ad esempio, poiché si assume che non è più “scientificamente” possibile prevedere un processo continuo dello sviluppo economico quale quello che abbiamo conosciuto, questa impossibilità si trasferisce allo sviluppo del sistema capitalistico; il II Principio della termodinamica prende cosi il posto della certezza fornita a suo tempo dalla previsione marxista sulla fine del capitalismo stesso. E’ in questa area socioculturale che in effetti sembra trovare maggior successo la teoria della decrescita. La quale, a sua volta, diventa finalmente – e in maniera altrettanto “scientifica” – indiscutibile e come tale non solo una necessità ma anche un modo per recuperare stili e modelli di vita virtuosi, parsimoniosi nei consumi e negli scambi, giusti, ecologici e elevati, o assunti come tali, nei rapporti e nell’organizzazione sociale. Lungo questo percorso si possono collocare le soluzioni positive di qualunque questione e le stesse prospettive di decrescita, che potrebbero avere contenuti da guerra all’ultimo sangue, si trasformano in ipotesi bucoliche, serene e in comportamenti virtuosi. Si tratta di percorsi “ ideali” già presenti in altre “visioni” millenaristiche che si ritrovano nella storia dell’umanità e che probabilmente fanno parte di una dimensione sostanzialmente reazionaria del pensiero umano. In questo caso, tuttavia, il ricorso alle leggi scientifiche consente di dare un tono di modernità e laicità a questa teoria, al prezzo, naturalmente, di forzature e deformazioni di quegli stessi riferimenti scientifici e tecnologici. Tuttavia, come accennato, questa estensione politico-sociale non appartiene a R. che infatti non si diffonde nella descrizione della società della decrescita, ma riguarda quegli adepti che sembrano interessati più ad assumere le conclusioni più radicali di R che a vagliarne criticamente la validità.
Naturalmente le critiche a queste “deformazioni” non possono significare l’inesistenza dei problemi ambientali, della distribuzione delle risorse, della qualità dello sviluppo. La questione è esattamente nei termini opposti e cioè nel senso che se a tutti questi problemi provvede comunque il II Principio della termodinamica, potremmo anche dormire tranquilli e occuparci d’altro. Ma cosi non è.
[1] Tutte le citazioni riportate sono tratte, tranne eventuale diverso riferimento, dal volume: Nicholas Georgescu-Roegen: Bioeconomia, Ed. Bollati Boringhier, 2003.
[2] Tra l’altro appare piuttosto singolare che sulla base di una affermazione vera in termini molto contingenti – si dice infatti che questo limite delle celle fotovoltaiche è vero “attualmente” – si pensi di costruire una intera teoria economica Inoltre lascia perplessi il fatto che se quell’affermazione poteva essere vere nel momento specifico in cui R la riferiva, tuttavia era noto già da allora che si trattava di una “verità” tecnologica in corso di trasformazione. Sarebbero altrimenti da rivedere immediatamente e drasticamente le strategie di contenimento dei gas serra adottate di quasi tutti i paesi dove un posto particolare è occupato dalla diffusione dell’energia fotovoltaica….