di Carlo Patrignani – l’Unità.it, 26 giugno 2014
Si é di sinistra in quanto si ha come parametri della propria identità, della propria cultura, dei propri ideali e base della costruzione di programmi e progetti: la libertà e l’uguaglianza, due valori essenziali che definiscono l’identità di sinistra, che, va detto per inciso, non la dà un gruppo dirigente; il gruppo dirigente ha l’obbligo di predisporre le condizioni per costruirla, ma deve sapere che l’identità, oggi più che mai, é un fenomeno che non é circoscrivibile da un gruppo dirigente ristretto che poi la trasmette.
Dopo di che, occorre subito riconoscere che il riformismo é debole, perché debole e incostante é il suo collegarsi ai valori. Ma ciò indebolisce la politica, la rende estranea, lontana, autoreferenziale. Da quest’idea della politica, da questa crescente lontananza e autoreferenzialità, traggono origine il disinteresse se non l’ostalità da parte dei cittadini e l’astensionismo crescente degli elettori.
Questa potrebbe essere l’analisi di oggi, a partire dalle recenti elezioni europee con il non voto che é salito di 8 punti rispetto alle europee del 2009: il 65,8% dei votanti pari a 30,5 milioni, contro il 57,2% pari a 27,5 milioni di voti validi, una differenza di 3 milioni, che raddoppia nel confronto con le politiche del 2013: il non voto è stato di 6, 6 milioni!
E invece é quanto sosteneva, 14 anni, fa Fausto Vigevani, ex-sindacalista della Cgil e senatore dei Ds, nel nuovo libro edito dalla Ediesse: Il sindacato, la politica, a cura di Edmondo Montali e Sergio Negri, dopo quello uscito nel 2004: La passione, il coraggio di un sindacalista scomodo, di Pasquale Cascella, Giorgio Lauzi e Sergio Negri.
Se uno non ha un lavoro é meno libero di qualcun altro, se ha un reddito insufficiente é meno libero di qualcun altro, se non ha le condizioni per una protezione della propria salute é meno libero di qualcun altro. […] E una società costruita per strati sociali rilevanti di disuguaglianza sarà una società meno libera e meno uguale, meno democratica, denunciava Vigevani, per il quale la piena occupazione era, é tuttora, l’obiettivo economico e sociale che meglio determinava, e determina, la salvaguardia della persona: é il lavoro, come fattore di realizzazione di sé, che unitamente al sapere, alla conoscenza, rende le persone libere e uguali.
Un’impostazione, questa, simile a quella di un altro ex-sindacalista della Cgil e eurodeputato dei Ds, Bruno Trentin, con il quale Vigevani condivideva stima e feeling intellettuale nei confronti di Riccardo Lombardi.
Ecco perché, di conseguenza, aggiungeva, il riformismo é debole, perché é privo di quei valori essenziali che rendono uomini e donne liberi e uguali. Perché a sinistra, spiegava, lucidamente, 14 anni fa, non ci si é misurati […] con i cambiamenti profondi che hanno investito gli individui nel loro rapporto con la società [..] nelle loro condizioni materiali e nelle loro aspettative. […] L’insicurezza, l’isolamento, la solitudine oggi sono, più che mai, malattie sociali che non si curano con l’aumento delle prestazioni monetarie né aumentando le prescrizioni farmaceutiche o i ricoveri ospedalieri.
Quel che non si é fatto 14 anni fa, a fronte di profondi cambiamenti che hanno prodotto diseguaglianze economico e sociali, resta tuttora da fare, ossia ridefinire un moderno riformismo, come diceva Vigevani, in sintonia con Trentin, fondato sulle singole persone, sulle loro diversità soggettive, nelle condizioni materiali, nei bisogni e aspettative per costruire un sistema di protezione sociale per tutti, capace di offrire libertà di scelte, personalizzazione delle prestazioni. Un moderno riformismo non avrebbe, inoltre, dovuto trascurare mai l’affermazione piena del diritto allo studio, diritto di cui sono titolari le persone e non le istituzioni scolastiche perché, solo una società dei saperi può costituire lo spartiacque fra una nuova e più ampia uguaglianza o un ritorno a diseguaglianze e esclusioni più gravi di quelle antiche. E del diritto alla salute, tanto da chiedere la messa al bando dell’amianto per le conseguenze sui lavoratori e sui cittadini, come avvenne nella vicenda della Eternit di Casale Monferrato fino a polemizzare con l’attuale presidente della Finmeccanica, Mauro Moretti, allora dirigente della Filt-Cgil.
Vigevani é stato certamente un sindacalista scomodo, ma ancora di più lo é stato come politico: la sua battaglia nei Ds per l’adesione al Pse e all’Internazionale socialista come fatto naturale per una sinistra riformista e con cultura di governo fu condivisa totalmente da Trentin: penso che trasformare i Ds nel Partito socialista europeo […] sia uno di quei messaggi di Fausto che non va smarrito, ed é forse il modo per uscire da tante ambiguità e da ogni forma di trasformismo che egli disprezzava. E, coerente con se stesso, fino in fondo, Vigevani rinunciò al termine del secondo mandato al Senato, al vitalizio parlamentare, una misura che non riteneva giusta.