Roma, 30 novembre 2014, di Sergio Ferrari – “Che Renzi si senta sempre più nervoso è del tutto comprensibile, le sue lenzuolate di ottimismo raccolgono sempre meno credito. Per motivi del tutto ovvii: la crisi internazionale, comunque fuori portata diretta anche grazie ad un’Europa inadeguata, resta sul terreno, ma è la crisi specifica italiana – precedente a quella internazionale ed in corso da qualche lustro che ci relega in coda alle varie classifiche internazionali in materia di qualità e quantità di sviluppo – quella che chiama in causa esclusivamente il nostro intervento e, da qui, le attese per l’azione del nostro Governo. Visto l’andamento dei fatti, è quindi ovvio che gli entusiasti si raffreddino, i dubitosi diventino perplessi, i perplessi, critici e questi aumentino. La recente soddisfazione di Renzi per l’approvazione delle modifiche dello Statuto dei lavoratori per cui finalmente: “ora gli imprenditori possono riprendere ad investire e gli investitori esteri a tornare in Italia”, può dare il senso di queste difficoltà e di queste ricerche di consolazioni sempre più fantasiose.”
“Quello che è certo è che le condizioni sociali e strutturali del Paese avrebbero richiesto una tempistica e una strumentazione diversa quale, tanto per incominciare, solo gli investimenti pubblici avrebbero potuto assicurare, checché ne dicano Confindustria e opinionisti mainstream. Il caso dei rapporti polemici con i sindacati che, secondo Renzi, dovrebbero aggiornare la loro azione o, forse, farsi da parte, dovrebbe, almeno per coerenza, indurre a riflettere sul ritardo politico-culturali dell’azione del Governo e, particolarmente, sui risultati raggiunti. Altrimenti la logica conseguente è quella secondo la quale da una CGIL rimasta pressoché isolata, si è passati nel giro di pochi mesi ad un possibile sciopero generale dove chi resta isolato non è certo la CGIL. Che, tra l’altro, può vantare un’elaborazione programmatica particolarmente aggiornata quale quella contenuta nel Piano del Lavoro. Anche se, purtroppo, non adeguatamente conosciuta.
Dunque i segnali che vengono dal Governo in materia di politica economica e sociale non contengono nulla in grado di correggere il nostro declino e nemmeno, avendo rinunciato a trovare le risorse là dove esistono, ad invertire la crescente gravità delle ingiustizie sociali in moda tale da, almeno, riaprire così l’orizzonte della speranza. E, intanto, il dato della disoccupazione – 13,2% pari a 3 milioni e 410 mila – è, in assoluto, il più alto registrato nella storia del Paese.
Le strade per Renzi non sono molte: o proseguire su quella intrapresa con esiti preoccupanti anche dal punto di vista della democrazia, o trovare da qualche parte un nuovo Keynes che lo guidi su percorsi del tutto alternativi ai fini dello sviluppo e della competitività del Paese. La scappatoia di allungare i tempi richiamandosi agli effetti delle riforme che richiedono tempi tecnici non brevi per manifestarsi non è in discussione perché è ovvia, ma nelle condizioni attuali quella scusa conferma una grave sottovalutazione della crisi in atto. Una crisi sociale, ambientale ed economica ben nota da tempo e la cui gravità è tale da non poter essere affrontata solo con riforme a effetto ritardato. Se poi queste riforme possono avere un esito a dir poco incerto – non è un caso che le previsioni in materia economica e sociale vengono costantemente smentite in negativo – occorre allora aggiungere agli errori degli inaccettabili tempi lunghi, la possibilità di scoprire alla fine di aver sbagliato terapia; una possibilità che, come è noto, per molti è una certezza.
La realtà, come sempre, può offrire, rispetto a questi due percorsi, numerose varianti ma non è facile individuare alternative differenti anche sperando negli effetti di trascinamento provenienti dall’auspicabile superamento della crisi internazionale.
E questo vale anche per chi verrà dopo Renzi.”