Il risultato di sette anni di rigore. Un motivo in più a sostegno del Referendum

sette anni di rigoreDai risultati del grafico realizzato dall’Associazione Labour “Riccardo Lombardi” sull’andamento di alcune grandezze in Italia negli ultimi 7 anni (Il Prodotto interno lordo – L’investimento totale – Il tasso di disoccupazione – Il debito lordo delle amministrazioni pubbliche) derivano nuove ragioni a sostegno del Referendum per eliminare il pareggio di bilancio dalla nostra Costituzione. Servono 500 mila firme entro 90 giorni contro il Fiscal compact. Nel comitato promotore economisti, sindacalisti, parlamentari di tutti gli schieramenti politici. Per eliminare le disposizioni che obbligano governo e parlamento a fissare obiettivi di bilancio più gravosi di quelli definiti in sede europea. Quattro referendum e  quat­tro «Sì» che potreb­bero modi­fi­care l’applicazione «ottusa» del prin­ci­pio dell’equilibrio di bilan­cio, eli­mi­nando alcune gravi stor­ture intro­dotte dal par­la­mento ita­liano. Si vuole così eli­mi­nare le dispo­si­zioni che obbli­gano governo e par­la­mento a fis­sare obiet­tivi di bilan­cio più gra­vosi di quelli defi­niti in sede euro­pea. Il refe­ren­dum abroga la dispo­si­zione che pre­vede la cor­ri­spon­denza tra il prin­ci­pio costi­tu­zio­nale di bilan­cio e il con­sid­detto «obiet­tivo a medio ter­mine» sta­bi­lito in Europa, una norma che non è impo­sta dal Fiscal com­pact. Vin­cendo il refe­ren­dum, l’Italia potrebbe ricor­rere all’indebitamento per rea­liz­zare ope­ra­zioni finan­zia­rie, un’azione oggi vie­tata. Infine, ver­rebbe abro­gata l’attivazione auto­ma­tica del mec­ca­ni­smo che impone tasse o tagli alla spesa pub­blica in caso di non rag­giun­gi­mento dell’obiettivo di bilan­cio, deciso dai trat­tati inter­na­zio­nali e non dall’Unione europea.

La battaglia referendaria annunciata da un folto gruppo di docenti universitari ed economisti è una delle possibili strade giuste per ottenere questo risultato. La campagna, riassunta nello slogan “Stop all’austerità. Sì alla crescita, sì all’Europa del lavoro e di un nuovo sviluppo”, prevede fra il 3 luglio e il 30 settembre la raccolta delle 500mila firme necessarie per celebrare il voto popolare nella primavera 2015. Le richieste di abrogazione popolare, spiega il giurista Giulio Salerno, puntano a rimuovere punti nevralgici della legge ordinaria attuativa dell’obiettivo di equilibrio dei bilanci pubblici, approvata in tempi record e senza un’autentica discussione parlamentare nel 2012. Finalità dei promotori è abolire le regole, non previste dalla Carta repubblicana né dai trattati europei firmati dal’Italia, che applicano in modo rigido e miope il principio del pareggio fra entrate e uscite. Una lettura ortodossa e integralista dell’austerità finanziaria adottata dalle istituzioni comunitarie che produce strategie vessatorie e restrittive per l’economia, il lavoro, lo sviluppo del nostro paese.

Accomunati dalla consapevolezza dell’urgenza di scelte nazionali ed europee espansive, i rappresentanti del Comitato promotore sono lo specchio di un mondo eterogeneo dal punto di vista culturale e politico. Ma le sue frontiere vanno estendendosi raccogliendo anche rappresentanti della minoranza PD, alla adesione di Sel. Alla conferenza stampa hanno partecipato Alfiero Grandi, Stefano Fassina, Miguel Gotor, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre, Gennaro Migliore, Peppe de Cristofaro, Giulio Marcon, Giorgio Airaudo e Lanfranco Turci. Presente anche Danilo Barbi che è tra i 16 promotori del referendum e membro della segreteria della Cgil. A illustrare la bontà del progetto di consultazione popolare è stato l’economista Gustavo Piga. Il quale ricorda, con i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, come “un’austerità ottusa abbia reso impensabile ogni politica industriale necessaria in una fase di crisi”. Per archiviare una strategia fallimentare portatrice di enormi sofferenze – ha rimarcato lo studioso rivolgendosi al premier – non è sufficiente puntare su un Fiscal Compact più flessibile, giocando con le virgole tramite estenuanti negoziati e continue manovre restrittive destinate ad accrescere rabbia e disincanto verso l’Europa.  Provvedimenti che, rileva il consigliere di Stato Paolo De Ioanna, hanno contribuito al crollo del 12 per cento degli investimenti pubblici italiani nel 2013.  “Esautorando di prerogative essenziali i Parlamenti nazionali, ridotti a organi di ratifica – in un clima di ‘embargo intellettuale’ – delle scelte assunte altrove spesso in antitesi con i principi fissati nelle Costituzioni”. Estromettere lo Stato dall’economia nelle fasi di contrazione produttiva e dei consumi, precisa l’economista keynesiano Riccardo Realfonzo, ha accentuato la divaricazione tra regioni europee nel PIL e nel tasso di disoccupazione. Risultati disastrosi che “lo stesso Fondo monetario internazionale riconosce, al contrario del Documento di economia e finanza governativo tutto interno alle logiche del rigore fine a se stesso: taglio generalizzato alla spesa pubblica e aumento continuo della pressione fiscale”.

 

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