La vita e le battaglie del leader socialista nei libri di Mafai e Vallauri ristampati da Ediesse. Dall’esperienza antifascista alla crisi del centrosinistra. Terzo mondo, immigrazione, diritto all’occupazione: le idee ancora attuali
di Tarcisio Tarquini
Sta purtroppo passando senza particolari celebrazioni il venticinquesimo anniversario della morte di Riccardo Lombardi. Le persone di mezza età che hanno frequentato la politica e l’hanno accostata da sinistra, sanno di chi si parla. I più giovani dovranno farselo raccontare dai più adulti che avranno la voglia di farlo, perché questo anomalo uomo politico, che pure saprebbe ancora colpire con il fascino della sua intelligenza e l’esempio della sua integrità morale le nuove generazioni, non ha trovato ancora piazze che ne tramandino il nome e collocazione in qualche paragrafo dei libri di scuola dedicati alla storia dell’Italia repubblicana del secondo novecento.
Si segnala, perciò, come iniziativa densa di significato non solo editoriale, la decisione dell’Ediesse, la casa editrice della Cgil, di rimandare in libreria due libri che parlano del leader della sinistra socialista: la biografia che Miriam Mafai pubblicò per Feltrinelli nel 1976 e una lunga intervista sull’alternativa socialista che lo storico Carlo Vallauri, sempre nel 1976, fece a Lombardi per conto dell’editrice Lerici, oggi chiusa ma allora assai presente nel panorama dell’editoria politica e culturale del nostro paese con un’impronta marcatamente socialista e movimentista (faceva riferimento a Giacomo Mancini, su cui ha scritto recentemente una calda biografia il suo più antico collaboratore, Antonio Landolfi).
Le pagine di Mafai (Lombardi) si leggono tutto d’un fiato per il taglio di tipo narrativo che permette di rappresentare, quasi fossero personaggi di un romanzo, le grandi idee, i grandi progetti, le grandi speranze e le non meno grandi delusioni, che animarono il dibattito pubblico italiano e europeo di un periodo che abbraccia un quarantennio: dall’impegno antifascista di Lombardi, che culmina nella sua partecipazione alla resistenza nelle fila del Partito d’Azione e nell’incarico che egli ricoprì di prefetto della liberazione di Milano, fino al 1964, quando dopo i primi entusiasmi suscitati dal centrosinistra, Lombardi considerò in gran parte esaurita la capacità rinnovatrice di quell’alleanza politica e cominciò la ricerca di nuove strade per avvicinare la trasformazione socialista del paese senza deragliare da un tracciato rigorosamente democratico.
A molti lettori avvenimenti come la “notte di San Gregorio” (per la memoria di tutti, il 16 giugno 1963) dicono nulla; eppure in un’epoca in cui accordarsi o no su un documento politico comportava legarsi a comportamenti conseguenti che avevano effetti non irrilevanti nelle scelte politiche e nella vita dei governi, quella notte ebbe, tra i socialisti e non solo, l’effetto di un cataclisma. Fu in quell’occasione, infatti, che precipitò la rottura della maggioranza “autonomista” del Partito Socialista, guidata da Nenni e Lombardi, e la divaricazione, motivata da una differente lettura dello scenario italiano e della sua evoluzione, del successivo cammino politico dei due leader; Nenni schiacciato sempre più in una prospettiva filogovernativa (cui molto doveva il timore di determinare diversamente un’ingovernabilità foriera di recrudescenze autoritarie), Lombardi instancabilmente proteso nella costruzione di alleanze, basate sui reticolari movimenti della società che egli sapeva elencare uno per uno, che potessero dare sostanza alla sua richiesta di “riforme di struttura”.
Il libro di Miriam Mafai, che si giova del corredo di una cronologia che arriva fino al 1974, si chiude con l’avvio della “normalizzazione” del centrosinistra, dopo la sconfitta della riforma urbanistica (sul regime dei suoli), e tale conclusione sembra quasi voler sottolineare una tesi, più ancora una lettura della biografia di Lombardi: quella appunto che mette sotto il riflettore un elemento chiave del carattere del leader, la sua irrequietezza, la sua vocazione a tenere il cantiere sempre aperto, il suo gusto intellettuale per la revisione continua del già realizzato e per il superamento dei limiti riscontrati. Insomma, il continuo rimettersi in discussione che certo accrebbe la statura intellettuale e morale del leader, ma che nello stesso tempo gli impedì di cimentasi in prima persona nell’esperimento politico più importante che pure aveva contribuito a costruire e a riempire di contenuti (Lombardi è considerato il padre della nazionalizzazione dell’energia elettrica).
Il Lombardi del dopo centrosinistra si ritrova nell’intervista di Vallauri (L’alternativa socialista) preceduta da un saggio introduttivo scritto per l’edizione di oggi da Fausto Bertinotti (“La via al socialismo di un riformista rivoluzionario”). Si tratta di uno dei pochi testi che il leader socialista ci ha lasciato; il suo magistero, infatti, è stato soprattutto orale: i discorsi nei congressi e nel Parlamento, i comizi e le conferenze – tanto che a ragione Bertinotti esordisce ricordando “la voce di Riccardo Lombardi, quella voce ruvida e calda che pareva l’unico modo possibile in cui potessero vivere quei pensieri e quelle parole per poter poi andare per il mondo”. E, tuttavia, è un testo completo, in cui c’è davvero racchiuso il contenuto più prezioso di ciò che Lombardi pensò e delle prospettive politiche a cui lavorò nell’ultimo arco della sua vita.
Vi troviamo evocati, talvolta con parole di agghiacciante attualità, nodi problematici come l’esplosione dei paesi del terzo mondo e la ripulsa dello “scambio ineguale”, le migrazioni esterne e i loro riflessi sul mercato del lavoro delle nazioni forti, l’inoccupabilità, prima ancora che la disoccupazione, dei giovani, l’urgenza della redistribuzione del lavoro in funzione della piena occupazione.
Bertinotti sottolinea e rilancia una delle formule più efficaci che si incontrano in quelle pagine: l’obiettivo dell’occupazione come “variabile indipendente”. Il ragionamento di Lombardi è che non esistono leggi dell’economia oggettive e immodificabili, ma che le scelte economiche possono essere determinate a seconda delle priorità, a seconda dei vincoli che la politica, interprete della società e levatrice delle sue energie migliori, decide di dettare. “Io pongo il problema – dice Lombardi a Vallauri – in termini provocatori: una società deve arrivare al punto in cui si deve stabilire che il lavoro è la variabile indipendente. Oggi l’occupazione, il salario, tutto viene giudicato ed organizzato in funzione della compatibilità con alcuni elementi: la bilancia dei pagamenti, la moneta, il profitto. Bisogna invertire i criteri: fare della piena occupazione la variabile indipendente; saranno le altre variabili a doversi rendere compatibili con la piena occupazione”. È un’affermazione certo “provocatoria” ma che Lombardi sostiene con lucidità, convinto che dare un lavoro a tutti sia innanzi tutto un dovere morale (rivendica “una società che non faccia del lavoro un privilegio”), ma alla fine anche un modo per restituire razionalità a una macchina, quella del capitalismo contemporaneo, che l’ha persa ed è perciò impazzita. Il fascino di questa argomentazione, come di tante altre che troviamo nel libro e che molti di noi ricordano dalle sue vive parole, accolte come quelle di un Maestro, sta proprio nell’idea che davvero un’utopia lungamente seguita sia a portata di mano, possibile, non illusoria né irrealistica perché spinta dalle cose e determinata dalla volontà operosa degli uomini.
Si può discutere, ovviamente, di quanto il successivo smagamento della storia abbia replicato con durezza a quelle idee; l’impressione però è che soprattutto siano mancati gli uomini per crederci e portarle avanti.
Ecco perché, alla fine, ritengo che la lezione più duratura e attuale che possiamo trarre dalla vita politica e dal pensiero di Lombardi riguardi una dimensione e un metodo della politica. La necessità di una legittimazione che essa deve ricercare sempre nella società e nelle forze che all’interno di essa si muovono, cogliendo là dove c’è una richiesta di eguaglianza e libertà. E, insieme, il dovere di costruire le sue proposte per realizzare un fine fuori di sé, per spostare un po’ più in là i confini della notte dell’ingiustizia e dell’irrazionalità delle società che centrano il loro senso su bisogni fallaci. “Questo non vuol dire – riassume Lombardi – che una società socialista debba imporre i bisogni, ma orientarli; deve invece vedere con quali beni e a quali costi, non soltanto per se stessa ma anche per gli altri popoli, vengono acquisiti certi modi di fruire della vita, e deve di conseguenza organizzarsi. Se uno pensa alla società socialista come al paese di Bengodi o come all’albero della cuccagna, pensa male! Questo non vuol dire che sia una società triste o miserabile: deve essere una società molto più ricca e allegra della società di oggi.”
E qui sembra di risentirlo con la sua voce che conosceva le sfumature dell’ironia, con quello sguardo che conosceva l’ottimismo saggio dell’intelligenza.
Miriam Mafai, Lombardi. Una biografia politica.Ediesse, 2009, pp. 157. Euro 10
Riccardo Lombardi, L’alternativa socialista. Intervista a cura di Carlo Vallauri, con un saggio introduttivo di Fausto Bertinotti. Ediesse, 2009, pp.140, Euro