Di Francesco Somaini* – Il problema di rimettere in piedi – nel Regno Unito e non solo lì – una Sinistra che sappia dire e fare cose di Sinistra mi sembra tutt’altro che mal posto. Le critiche che Tony Blair ha rivolto a Jeremy Corbyn (1) nella sua lettera al “Guardian” accusandolo di condurre il Labour verso un abisso che lo potrebbe portare all’annientamento, mi sembrano per questo davvero male argomentate. La sola questione cui Blair sembra guardare è la possibilità di conseguire a breve dei buoni risultati elettorali, cosa che a suo avviso si può fare solo spostandosi clamorosamente verso il Centro e la Destra (come è accaduto appunto con il suo New Labour). Che un Labour che ritorni su posizioni credibilmente di Sinistra non abbia possibilità di ottenere importanti risultati elettorali è cosa tutta da dimostrare.
Ma a ben vedere il punto non è nemmeno questo. Io trovo infatti che, prima ancora di guardare all’esito delle prossime elezioni, occorra in realtà impegnarsi a ricostituire una Sinistra credibile, che sappia rimotivare i propri referenti sociali: cioè i deboli e gli sfruttati; e che sia in grado di rilanciare un serio e convincente programma di lotta alle diseguaglianze. Per Blair (come per Renzi e per tutti coloro che sono infatuati dall’uno o dall’altro) il solo problema sembra invece essere quello di vincere le elezioni. Ma se per vincere le elezioni devi snaturare completamente te stesso, e devi fare della Sinistra una Destra, la tua eventuale vittoria non sarà in vero di alcun significato né di alcun aiuto e di alcuna utilità. Potrai cioè magari vincere (perché appari innocuo e rassicurante, o perché sembri tanto carino e à la page), e potrai magari anche arrivare al potere, ma non ci sarà nulla di progressivo nella tua vittoria, perché avrai di fatto rinnegato te stesso.
Può sembrare paradossale, ma quello del vincere le elezioni è un problema per certi versi secondario. Non che non sia importante (è chiaro). Ma non è il punto centrale. Il punto centrale è la chiarezza delle istanze di cui ti rendi portatore.
Voglio essere ancora più chiaro. Tra Ottocento e Novecento, e per gran parte del “secolo breve”, l’Europa Occidentale ha compiuto grossissimi passi in avanti sul piano della lotta alla diseguaglianza, e questo perché ci sono state nei diversi paesi dell’Occidente europeo delle Sinistre (per lo più socialiste e socialdemocratiche) che avevano rivendicazioni chiare e nette da portare avanti. Erano delle Sinistre che preoccupavano e facevano paura a chi deteneva il potere, e che pertanto costringevano le stesse classi dominanti a fare concessioni, ad avviare riforme, a cedere terreno. La rivoluzione russa, e dopo il 1945 l’esistenza di un blocco sovietico in Europa orientale, non fecero ovviamente che incrementare questa paura, ma il fenomeno era in vero iniziato già prima. In Germania, ad esempio, le prime realizzazioni dello stato sociale furono avviate negli anni Ottanta dell’Ottocento dall’ultra-conservatore Bismarck proprio per esorcizzare il pericolo dell’avanzata dei socialdemocratici. Nel Regno Unito il programma di Welfare poi realizzato dai Laburisti dopo il secondo conflitto mondiale fu immaginato negli anni Quaranta del Novecento dal liberale lord Beveridge. Perfino in Italia quel poco di Stato Sociale che abbiamo costruito nel secondo dopoguerra è stato in parte realizzato anche dalla DC, la quale, sentendosi incalzata (sia pure in forme diverse) da socialisti e comunisti, comprese di non potersi proporre come un puro e semplice baluardo della conservazione. Col solo fatto di esserci, insomma, e di essere autenticamente se stesse, le Sinistre occidentali, talora anche senza governare, hanno insomma reso possibili i progressi del Novecento . Ma ciò è appunto avvenuto perché quelle Sinistre sono state a lungo effettivamente tali: hanno spesso saputo esprimere cultura di governo e senso della realtà, ma senza rinunciare ad una certa radicalità progressiva. Se invece le Sinistre si trasformano in Destre, come è accaduto e come sta accadendo (purtroppo anche qui da noi), è magari anche possibile che esse arrivino a conquistare il potere (soprattutto se le circostanze, per qualche motivo, si rivelano favorevoli), ma la cosa non sarà di alcun utilità sul piano generale.
E’ proprio per questo che il discorso di Blair (e dei suoi imitatori renziani in Italia) fa veramente acqua, mentre Corbyn rappresenta per il Labour (2) una sfida secondo me di grande interesse, in grado di rimettere il laburismo britannico in carreggiata e di renderlo di nuovo temibile. E bello sarebbe se anche da noi si costituisse una nuova Sinistra di questo genere, in grado di fare davvero il proprio mestiere.
*Presidente Circolo Rosselli di Milano
18 agosto 2015
(1) Jeremy Corbyn: entra in parlamento la prima volta nel 1983, come Tony Blair e Gordon Brown, ma è molto vicino alle posizioni di Tony Benn, storico ministro e leader della sinistra dei cosiddetti Bennite, che di Blair sarà un instancabile oppositore interno. Nel solco di quella storia Corbyn, repubblicano e pacifista (strenuo oppositore della guerra in Iraq e del programma di difesa nucleare Trident, sostiene il superamento della NATO) propone una rottura ideologica profonda con la stagione della terza via in una vera e propria svolta neosocialista.
(2) Labour, il programma di Jeremy Corby: Per costruire un’alternativa all’austerity ha delineato un programma economico di nazionalizzazioni (ferrovie e industrie energetiche) e politiche industriali (nuove infrastrutture energetiche, trasporti, edilizia popolare) finanziate da un “quantitative easing per il popolo” di stampo keynesiano. Vuole tenere il Regno Unito in Europa ma non è contento dell’attuale situazione ed è un fiero sostenitore di Syriza. Combatte la stretta sull’immigrazione del governo e ha un piano avanzato di politiche ambientali (no al fracking e riconversione dell’industria estrattiva di combustibili fossili). Corbyn risulta genuino e popolare tra gli elettori di tutti i partiti, nonostante non sia il classico leader carismatico e molti lo definiscano ineleggibile per la radicalità delle sue proposte. Ma è proprio avendo sostenuto negli anni lotte minoritarie che si sono rivelate preveggenti che ha oggi la credibilità politica di presentarsi come un buon tipo di leader, molto diverso dai politici selezionati in virtù del loro presunto appeal elettorale (che pure non gli manca, come dimostrano le 7 maggioranze assolute consecutive nel suo collegio di Islington North). La sua sfida ai luoghi comuni, alla paura, e all’establishment dentro e fuori dal Labour Party è lanciata e una sua vittoria potrebbe generare un terremoto politico che si sentirebbe in ogni capitale europea, specialmente nei quartier generali di quei partiti socialisti che paiono avere dimenticato le loro antiche radici. E chissà che la sua storia non ispiri anche il percorso di nascita del nuovo partito della sinistra italiana, spesso focalizzato sulla scelta del leader. E allora forse, dovremmo invece prendere esempio dalla sinistra britannica perchè, come era solito dire Tony Benn, “the best leaders are those you don’t remember because we did it ourselves!’”